mercoledì 10 febbraio 2016

François Cointeraux : professeur d’architecture rurale



Un libro da non perdere : « Les leçons de la terre. François Cointeraux (1740-1830). Professeur d’architecture rurale », co-pubblicato dalla INHA (Institut nationale d'histoire de l'art) e dalle edizioni Éditions des Cendres.
Cointeraux, inventore testardo, attivista solitario, pubblicista ispirato, occupa un posto speciale nella architettura del suo tempo. Esordisce nel mondo delle costruzioni a Lione come muratore, si trasferisce poi a Parigi e si dedica allo studio dell'architettura rurale di cui si proclama "professore di architettura rurale", titolo che nessuno gli contesta, ma che comunque non riesce a farsi riconoscere.
Nelle sue opere a stampa si occupa di storia della costruzione e delle tecniche costruttive, e diventa uno dei precursori dell'architettura in terra. Si occupa anche di storia dell'architettura e, più in generale, di una storia culturale e sociale dell'arte, agli occhi della quale egli rappresenta la figura di un artigiano inventore erede dell'Illuminismo, la cui ambizione sociale e l'impegno intellettuale sono strettamente connessi tra loro.

Questo libro colma una lacuna, affrontando per la prima volta tutte le sfaccettature di questo personaggio straordinario. La sua pubblicazione segue il convegno « François Cointeraux, Pionnier de l’architecture moderne en terre », tenutosi a Lione nel Maggio 2012 e organizzato da Laurent Baridon Louis Cellauro, Jean-Philippe Garric e Gilbert Richaud in collaborazione tra il LARHRA (Laboratoire de Recherche Historique Rhône-Alpes) e l'INHA.


mercoledì 23 settembre 2015

Costruire archi in muratura





Costruire archi in muratura: arco semicircolare estradossato parallelamente ribassato a 1/5 realizzato in mattoni pieni e malta di calce a rinforzo della volta del presbiterio e sostegno dell'altare settecentesco; luce 6,10 m, freccia o monta 1,25 m, spessore 0,38 m (raggio intradosso = 4,34 m, raggio estradosso = 4,72 m, K = 1,09).
Chiesa di N.S. Assunta di Rossiglione (Genova).

venerdì 11 settembre 2015

Era tutto effimero come un arcobaleno




Breve storia dell’arcobaleno


1Massimo Corradi
1Dipartimento di Scienze per l’Architettura, Scuola Politecnica - Genova, corradi@arch.unige.it


« Hic ubi sol radiis tempestatem inter opacam
adversa fulsit nimborum aspargine contra
tum color in nigris existit nubibus arqui ».
(Lucrezio, De rerum natura: VI, 524-526)

1. Introduzione

La storia dell’arcobaleno è antica quanto la storia della scienza. Già Alessandro di Afrodisia (III sec. – II sec a.C.) aveva cercato di descrivere l’arcobaleno come fenomeno di luce e colori e a lui si assegna la paternità della scoperta della zona scura tra l’arcobaleno primario e quello secondario; si deve invece ad Aristotele (384 o 383 – 322 a.C.) una prima completa descrizione del fenomeno ottico: «L’arcobaleno non forma mai un’intera circonferenza e nemmeno un arco maggiore di una semicirconferenza. Al tramonto e all’alba lo spessore dell’arco è stretto e l’arco ha la massima estensione. Quando il sole si alza maggiormente nel cielo lo spessore si allarga e la lunghezza dell’arco si riduce. Dopo l’equinozio d’autunno, nei giorni più corti, può essere visto a qualunque ora del giorno; in estate non può essere visto nelle ore del mezzogiorno. Non ci sono mai più di due arcobaleni nello stesso tempo. Ognuno di essi ha tre colori. I colori sono gli stessi in entrambi e il loro numero è identico, ma nell’arcobaleno esterno sono più deboli e la loro posizione è invertita. Nell’arcobaleno interno la prima e più larga striscia è rossa; in quello esterno la striscia più vicina a quello interno è dello stesso colore ma più stretta. Per le alte strisce vale lo stesso principio. Queste hanno gli unici colori che i pittori non possono fabbricarsi, dato che ci sono colori da essi creati con misture, ma nessuna mistura può dare il rosso, il verde e il blu. Questi sono i colori dell’arcobaleno, per quanto talora tra il rosso e il verde si possa vedere il giallo » [Aristotele, Meteorologia: Libro III]. In questo modo, l’arcobaleno entra a pieno titolo tra i fenomeni oggetto di studio da parte dei fisici anche se, secondo Lee e Fraser: « Despite its many flaws and its appeal to Pythagorean numerology, Aristotle’s qualitative explanation showed an inventiveness and relative consistency that was unmatched for centuries. After Aristotle’s death, much rainbow theory consisted of reaction to his work, although not all of this was uncritical » [1]. La descrizione aristotelica dei colori dell’arcobaleno riduce a tre il loro numero, e questa interpretazione fu accettata per molto tempo, con sottili differenze numerologiche associando i tre colori alla Trinità o altrimenti quattro colori associati ai quattro elementi della tradizione empedoclea. La riflessione della luce del sole tra le nuvole, lo studio dell’angolo di incidenza dei raggi luminosi, la spiegazione della forma circolare dell’arcobaleno, l’effetto ottico di profondità infinita rispetto all’origine del fenomeno luminoso sono tutte questioni che hanno incuriosito per secoli studiosi di differenti discipline.
Nelle Naturales Quaestiones (ca. 65 d.C.), Lucius Annaeus Seneca (ca. 4 a.C. - 65 d.C.) dedica un intero libro alla spiegazione del fenomeno dell’arcobaleno ed espone la teoria secondo la quale l’arcobaleno, che appare sempre di fronte al sole, è prodotto dal riflesso dei raggi solari sulle goccioline d’acqua, così come dal riflesso dei raggi solari in una nuvola a forma di specchio concavo, e racconta come si possa vedere l’arcobaleno in un cilindro di vetro attraversato da un raggio luminoso, anticipando, di fatto, le esperienze di Isaac Newton (1642 - 1727) con il prisma ottico.
Roger Bacon (1214 – 1294), Teodorico di Freiberg (Meister Dietrich, Theodoricus Teutonicus de Vriberg, ca. 1250 – ca. 1310) [2] e René Descartes (1596 – 1650) - per non citarne che alcuni - affrontano per via speculativa lo studio del fenomeno visivo inframmezzando tra loro scienza e alchimia, ragione e sentimento: i colori dell’arcobaleno arrivano (agli occhi) per effetto di fenomeni fisici e sensoriali, interpretativi ed esperienziali. Si deve, invece, a Willebrord Snell (Willebrordus Snellius, 1580 – 1626) la comprensione (1621) che l’arcobaleno è un fenomeno strettamente fisico e come l’arcobaleno deve diventare argomento di studio rigoroso secondo le leggi matematico-fisiche della riflessione e della rifrazione; e poi a Newton la comprensione (1666) che l’indice di rifrazione dipende dalla lunghezza d’onda per cui ogni raggio di sole genera il proprio arcobaleno. In questa breve nota si vuole ripercorrere una storia spesso dimenticata che attraverso le prime intuizioni dei filosofi greci fino ad arrivare alla scienza moderna ha connotato la ricerca in un campo della fisica dove il colore dell’arcobaleno appartiene sì al mondo della fisica ma altresì - come scriverà nel 1803 Thomas Young (1773 – 1829), siccome “le onde luminose creano alternanza tra luce e tenebre”, tra conoscenza e speculazione teoretica, per successive interferenze costruttive e distruttive -, il colore dell’arcobaleno appartiene, di fatto, al mondo speculativo come a quello dell’immaginazione.

2. Alle origini della nostra storia

I primi studi di carattere scientifico - nel senso moderno del termine - risalgono al Medioevo arabo: l’astronomo e matematico persiano Qutb Al-Dīn al-Shirāzī (1236 – 1311) e il suo allievo al-Fārisī, conosciuto anche come Kamāl al-Dīn (1260 – 1320) [3], cercano di dare una prima descrizione matematica del fenomeno dell’arcobaleno, abbastanza accurata per l’epoca perché basata sul fenomeno della rifrazione della luce come descritto nell’Ottica di Abū ʿAlī al-Ḥasan ibn al-Ḥasan ibn al-Haytham, o anche Alhazen (965 - 1039), matematico originario di Basra, Persia oggi Iraq, e sugli studi di Avicenna (Ibn Sinā, o Abū ʿAlī al-Ḥusayn ibn ʿAbd Allāh ibn Sīnā, 980 – 1037). Ibn al-Haytham aveva immaginato che la luce del sole, affinché sia in grado di formare l’arcobaleno, deve essere riflessa dalle nuvole prima di raggiungere l’occhio umano. In questo modo le gocce d’acqua che formano le nuvole riflettono il raggio di luce e formano i colori dell’arcobaleno attraverso una rifrazione e due o più riflessioni, come un’immagine che si forma in uno specchio sferico, concavo, continuo e liscio, riflettente, e formato da aria umida e densa [4]. L’esperimento di indubbia difficoltà nel poter essere ripetuto, come peraltro previsto dal metodo Galileiano, poteva essere svolto, secondo lo studioso persiano, studiando il fenomeno della rifrazione di un raggio di luce attraverso una sfera di vetro trasparente piena d’acqua, un modello sperimentale su larga scala di una goccia di pioggia. Per valutare lo spettro dei colori era necessario introdurre il modello entro una camera oscura dotata di un’apertura controllata per l’introduzione del raggio di luce. Sia ibn al-Haytham che il poliedrico Avicenna avevano inoltre immaginato che l’arcobaleno non si forma nella nuvola scura ma piuttosto nello strato sottile di nebbia compresa tra la nuvola, il sole e l’osservatore. La nuvola svolge la funzione di sfondo a questa sostanza sottile, come una fodera di argento vivo è posta sulla superficie posteriore del vetro in uno specchio [5]. Numerose prove con dettagliate osservazioni sulla riflessione e sulla rifrazione della luce permisero ad al-Fārisī di stabilire che i colori dell’arcobaleno sono fenomeni di decomposizione della luce, come riporterà nel suo trattato sull’Ottica (Kitāb Tanqih al-Manāẓir, ca. 1319). Il problema della formazione dei colori dell’arcobaleno è, invece, molto più complesso da spiegare e al-Fārisī immagina che i colori siano prodotti dalla sovrapposizione di diverse forme dell’immagine su uno sfondo scuro per miscelazione con la luce, riprendendo peraltro la teoria enunciata dal suo maestro al-Shirāzī [6].
Nella scienza cinese, al tempo della Dinastia Song (960-1279), un poliedrico studioso di nome Shen Kuo (1031 - 1095) - geologo, astronomo, ambasciatore, matematico, cartografo, zoologo, botanico, generale, ingegnere idraulico, farmacologo cinese - ipotizza, come il suo predecessore Sun Sikong (1015 - 1076), che l’arcobaleno sia formato dall’incontro dei raggi solari con le goccioline di pioggia presenti in sospensione nell’aria [7] in accordo con i principi scientifici che stanno alla base della spiegazione scientifica ‘moderna’.
Nel vecchio Continente, Alberto Magno (1206 – 1280) nel XXVIII capitolo del Meteororum (Colonia, 1250) attribuisce alle singole gocce d’acqua e non alla nube intera la formazione dell’arcobaleno che avviene non solo per semplice riflessione su una superficie convessa, ma anche per rifrazione. Introduce allora la “riflessione” e la “rifrazione” della luce sulle gocce per spiegare il fenomeno, anche se attribuisce alla sola riflessione sulla loro superficie interna la formazione dell’arco colorato. Nello stesso tempo il filosofo inglese Roger Bacon (Ruggero Bacone ricordato anche come il Doctor mirabilis), sviluppando gli studi sulla luce di Robert Grosseteste (ca. 1175 – 1253) - fondatore della tradizione del pensiero scientifico nella Oxford medioevale secondo Alistair Cameron Crombie (1915 – 1996) -, si dedica allo studio di questo fenomeno cercando di ottenere – per mezzo di un astrolabio - una misura dell’angolo che si forma tra la luce incidente del Sole e la luce diffusa dai due archi dell’arcobaleno - quello primario e quello secondario –, ottenendo valori che variano tra i 138° e 130°; i colori sono luce incorporata nella materia, stimolata da una luce proveniente dall’esterno (quella del sole), e più la materia è stimolata più la luce è splendente. I suoi esperimenti riguardano l’analisi del passaggio dei raggi di luce attraverso cristalli e goccioline d’acqua (Opus Majus. Part V: Optics e Part VI: Experimental Science 1628) [8]. Occorre inoltre rilevare che il Trattato sull’Ottica di ibn al-Haytham fu tradotto in latino da Robert Grosseteste e quasi sicuramente era noto a Roger Bacon.
Agli inizi del XIV secolo il domenicano Teodorico di Freiberg ipotizza che il fenomeno luminoso dipenda dalla riflessione della luce solare attraverso le gocce d’acqua in sospensione aerea e svolge alcuni esperimenti utilizzando bocce sferiche riempite d’acqua, fornendo un’accurata descrizione dell’arcobaleno primario e di quello secondario. Secondo lo studioso sassone, l’arcobaleno primario si forma «quando la luce solare cade sulle singole gocce di umidità, i raggi subiscono due rifrazioni (una all’ingresso e una all’uscita) e una riflessione (sul retro della goccia) prima di essere trasmessa all’occhio dell’osservatore» [9], mentre l’arcobaleno secondario è un fenomeno che similmente dipende invece da due rifrazioni e due riflessioni. Secondo Teodorico i colori sono una mélange di due qualità, lo splendore è l’oscurità. Le stesse idee furono riprese da Johann Fleischer (1539 – 1593) nel suo trattato sulla dottrina Aristotelica dell’arcobaleno (1571) [10].


 
Fig. 1 A sin: frontespizio del Opticae Thesaurus (Basileae: Friedrich Risner, 1572) che include il trattato sull’ottica (Kitāb al-Manāir) di Alhazen in cui appaiono: arcobaleni, specchi parabolici, immagini distorte causate dalla rifrazione della luce nell’acqua, e altri effetti ottici. A destra: l’immagine mostra la rifrazione della luce attraverso un contenitore sferico di vetro pieno d’acqua. Da Roger Bacon o forse Robert Grosseteste: Opus Majus or De multiplicatione specierum or possibly De natura locorum [Manoscritto della British Library: Royal 7 F. VIII, Page Folio Number: f.25. A. C. Crombie, Robert Grosseteste and the Origins of Experimental Science (Oxford: Clarendon Press, 1983), descrive l’immagine come segue: “Diagram illustrating Grosseteste’s theory, in De natura locorum (cfr. pp. 122, 149) of the focusing of the sun’s rays by a spherical lens; from Roger Bacon’s Opus Maius, iv. ii. 2, MS Roy. 7. F. viii, f. 25v”].

Gregor Reisch (ca. 1467 – 1523) nella sua Margarita philosophica (Friburgo in Brisgovia: Johannes Schott, 1503) afferma che l’arcobaleno principale appare quando la luce si riflette su una superficie concava e il suo aspetto dipende dalla moltitudine delle gocce. Girolamo Cardano (1501 – 1576) riprende le teorie di Alberto Magno, Roger Bacon e Witelo. Nel 1494 Francesco Maurolico (1494 - 1575) nella sua opera Photismi de lumine et umbra [11], probabilmente una tra le migliori opere di ottica del XVI secolo, afferma che la luce si riflette sulla parte convessa esterna e su quella concava interna della goccia d’acqua ed è in questo modo che si forma il fenomeno dell’arcobaleno, attraverso un grande numero di riflessioni. Giambattista Della Porta (1535 – 1615) nel De refractione optices (Neapoli: Iacobum Carlino, 1593) immagina i due archi come prodotti di rifrazioni su due diverse nubi.
  


Fig. 2 – A sin.: rappresentazione dell’arcobaleno secondario, secondo Teodorico di Freiberg. A destra: fenomeno delle riflessioni multiple secondo Maurolico (Photismi, Theorema XXIX, p. 54; Neapoli: Tarquinij Longi, 1611).

Marco Antonio de Dominis (1560 - 1624) pubblica nel 1611 una prima opera che tratta del fenomeno dell’arcobaleno dal punto di vista fisico-geometrico. Il suo testo dal titolo Tractatus de radiis visus et lucis in vitris, perspectivis et iride [12] è un primo saggio che affronta il fenomeno dell’arcobaleno e la spiegazione che da lo studioso dalmata è sicuramente convincente. Egli mostra che i raggi del sole che attraversano una sfera di vetro piena d’acqua formano un arcobaleno sulle pareti del suo laboratorio. Osservando il percorso dei raggi luminosi egli osserva che essi sono riflessi dal fondo della sfera che si comporta come uno specchio concavo e uscendo al di fuori della sfera vitrea subiscono una nuova rifrazione. La sua opera è successiva a una serie di studi condotti a seguito di esperimenti simili a quelli svolti da Teodorico di Freiberg, e in essa traspare una conoscenza approfondita della letteratura sul tema.
Nel 1604 Johannes Kepler (1571 - 1630) riprende gli studi del monaco, matematico, fisico, filosofo e teologo polacco Witelo ma non riesce a stabilire la legge di rifrazione della luce [13].
In seguito l’astronomo siciliano Giovan Battista Hodierna (1597 - 1660) studia il fenomeno della luce che passa attraverso un prisma, precedendo addirittura le ricerche di Newton, come indica nella pubblicazione del 1652 “Thaumantiae miraculum” (Palermo: Niccolò Bua), e formula anche una vaga spiegazione dell’arcobaleno; introduce inoltre una distinzione tra colori ‘forti’ e colori ‘deboli’ separati dal bianco. In questo scritto, la trattazione geometrico-quantitativa dei fenomeni luminosi affonda le radici in quella che si può definire una metafisica della luce, giustificando in questo modo il primato dell’ottica sulle altre scienze, sulla base del primato ontologico della luce.
L’inizio dell’VIII discorso de Les Météores, dedicato da Descartes all’arcobaleno, costituisce il cambio di paradigma nello studio del fenomeno fisico dell’arcobaleno. Descartes comincia il suo discorso con questa affermazione: « L’Arc-en-ciel est une merveille de la nature si remarquable, & sa cause a esté de tout tems si curieusement recherchée par les bons esprits, & si peu connuë, quei e ne sçaurois choisir de matiere plus propre a faire voir comment par la methode dont ie me fers on peut venir a des connoissances, que ceux dont nous avons le escrits n’ont point euës » [14].


 
Fig. 3 – A sin: René Descartes, Discours de la méthode pour bien conduire sa raison, et chercher la verité dans les sciences Plus la Dioptrique, les Meteores, et la Geometrie qui sont des essais de cete Methode. Leyde: Ian Maire, 1637, p. 251. A destra: l’arcobaleno di Newton. Illustrazione tratta dal trattato Opticks di Isaac Newton. London: S. Smith, and B. Walford, 1704.

Descartes affronta il problema su una base prettamente scientifico-matematica, a partire dalle leggi di rifrazione che portano il suo nome e fornisce una interessante dimostrazione matematica del perché l’arcobaleno ha forma semicircolare utilizzando i nuovi strumenti del calcolo infinitesimale che in quegli anni erano in via di sviluppo. Il suo intento è di migliorare la spiegazione scientifica del fenomeno attraverso l’uso dello strumento matematico e della prova sperimentale.
Egli sperimenta il passaggio di un raggio di luce attraverso una grande sfera di vetro riempita di acqua. La misura degli angoli dei raggi emergenti, lo porta alla conclusione che l’arco primario è causato da una singola riflessione che avviene all’interno della goccia, mentre l’arco secondario può, invece, essere causato da due riflessioni interne. Per arrivare a questo risultato Descartes espone la teoria della legge della rifrazione - come peraltro aveva fatto Snell [15] - e calcola correttamente gli angoli di incidenza dei raggi luminosi per entrambi gli archi. Egli stabilisce che il valore del seno dell’angolo d’incidenza e rifrazione è costante qualunque sia l’angolo d’incidenza. I raggi luminosi emessi dal sole, supposti puntuali, arrivano paralleli nei differenti punti della goccia d’acqua e la intercettano con diversi angoli d’incidenza. I raggi che subiscono una sola riflessione formano l’arco primario, mentre l’arco secondario, a esso esterno, è formato da una doppia riflessione all’interno della goccia. Tutti i raggi incidenti non sono però parimenti efficaci, cioè visibili dall’osservatore: solo quelli che hanno un angolo d’incidenza prossimo a 59° per l’arco primario e 71° per quello secondario sono visibili dall’occhio umano.
Non convince, invece, la sua spiegazione sulla formazione dei colori all’interno dell’arcobaleno poiché basata su una versione meccanicistica della teoria tradizionale secondo la quale i colori erano prodotti da una modificazione della luce bianca. Nel suo trattato su Les Météores del 1637 da una spiegazione del fenomeno fisico che si avvicina molto all’interpretazione data da de Dominis, senza tuttavia citarlo, forse per non incorrere nella disubbidienza alla Damnatio memoriae pronunciata dalla Chiesa nei confronti dell’ex arcivescovo dalmata.
Il ragionamento di Descartes sull’arcobaleno è un ragionamento di tipo geometrico, che sottrae al fenomeno ogni spessore poetico e mistico - rimprovero che John Keats (1795 - 1821) muoverà a Newton nel suo poema Lamia (1820) - e permette agli uomini di ragionare al tempo stesso da poeti e da fisici, ma certo non più da teologi, abbandonando una visione mistica che, come cita il versetto 14 del capitolo IX della “Genesi”, in cui si racconta che Dio traccia nel cielo l’arcobaleno come segno dell’alleanza stretta con gli uomini, per evitare che sull’umanità si abbatta un altro diluvio, trascende dal significato sovrannaturale religioso a quello naturale fisico.

« … Do not all charms fly
At the mere touch of cold philosophy?
There was an awful rainbow once in heaven:
We know her woof, her texture; she is given
In the dull catalogue of common things.
Philosophy will clip an Angel’s wings,
Conquer all mysteries by rule and line,
Empty the haunted air, and gnomed mine –
Unweave a rainbow, …»
(John Keats, Lamia) [16]

Isaac Newton riprende l’argomento nella sua opera Opticks [17] dando credito a de Dominis di aver spiegato il fenomeno per primo e in completa autonomia. Newton fu comunque il primo che diede una dimostrazione scientifica della composizione dello spettro dei colori affermando che la luce bianca è composta dall’insieme di tutti i colori dell’arcobaleno; secondo lo scienziato inglese i colori potevano essere separati nel loro spettro completo per mezzo di un prisma di vetro attraverso il quale era fatto passare un raggio di luce. Newton mostra chiaramente che le figure iridescenti generate dai prismi erano dovute alla decomposizione della luce nelle sue parti cromatiche, contrariamente all’idea generale che i colori fossero generati “internamente” al prisma, che godeva di questa singolare proprietà così come le goccioline d’acqua erano responsabili dell’arcobaleno.
Egli mostrò anche che la luce rossa subiva una rifrazione minore rispetto a quella blu, fornendo in questo modo la prima spiegazione scientifica delle principali caratteristiche dell’arcobaleno. Tuttavia, la teoria corpuscolare della luce così come formulata da Newton non fu in grado di spiegare il fenomeno dell’arcobaleno o arco “soprannumerario” [18]; infatti, si dovranno attendere i risultati delle ricerche condotte da Edme Mariotte (1620 – 1684), che descrive gli “archi soprannumerari” (1679) [19], e soprattutto Thomas Young che arriva a dimostrare che in certe condizioni la luce si comporta come un’onda, e può interferire con sé stessa.


Fig. 4 L’osservazione dello spettro dei colori, secondo Newton, correlato alla scala delle note musicali, come riportato da David Brewster (1781 - 1868) nella sua opera: Memoirs of the Life, Writings and Discoveries of Sir Isaac Newton. Edinburgh: Thomas Constable, 1855.

Nei decenni successivi alla pubblicazione dell’Ottica di Newton, l’osservazione dei primi fenomeni di interferenza e diffrazione e gli studi conseguenti sulla luce condussero alla scoperta della teoria ondulatoria: cruciale fu l’esperimento condotto da Young nel 1801 [20], sulla sovrapposizione dei raggi luminosi emessi da due sorgenti puntiformi e che gli consentì di misurare per primo le lunghezze d’onda di differenti colori della luce [21]. Il carattere ondulatorio della luce fu tuttavia pienamente accettato solo alcuni anni più tardi, quando il fisico francese Augustin-Jean Fresnel (1788 – 1827), attraverso lo studio della polarizzazione, riuscì a interpretare i risultati dell’esperimento di Young assumendo onde elastiche trasversali anziché longitudinali. All’abbandono della teoria newtoniana contribuirono anche gli esperimenti sulla determinazione della velocità della luce, realizzati da Armand Hippolyte Louis Fizeau (1819 – 1896) e Jean Bernard Léon Foucault (1819 – 1868), nel 1850, che mostrarono come avvenga una diminuzione della velocità all’aumentare della densità del mezzo attraversato, in contrasto con le previsioni formulate da Newton.
Il lavoro di Young fu in seguito sviluppato e perfezionato - negli anni venti del diciannovesimo secolo - dall’astronomo inglese George Biddell Airy (1801 – 1892), che riprende le teorie ondulatorie di Christiaan Huygens (1629 – 1695) e Augustin-Jean Fresnel, anche se in parte la trattazione matematica del fenomeno fu svolta dal chimico Richard Potter (1799 - 1886) nel 1835 e pubblicata nel 1838 sugli Atti della Cambridge Philosophical Society (Vol. 6, pp. 141-143); Potter spiegò come la forza dei colori dell’arcobaleno dipendesse anche dalla dimensione delle gocce di acqua. L’incrocio di più raggi di luce in una goccia d’acqua forma una curva detta “caustica”, che altro non è se non l’inviluppo di un sistema di raggi in corrispondenza di un valore massimo della luce.




Fig. 5 – Fig. 442 dalla tavola XXX delle “Lectures” di Thomas Young (1807), che riprendono il corpus dei lavori presentati alla Royal Society di Londra nel 1802. L’immagine mostra l’esperimento delle due fenditure (“two slit”) che sta alla base della teoria ondulatoria della luce. Si tratta del passaggio di un singolo fascio di luce monocromatica attraverso due minuscoli fori e la conseguente formazione delle “frange” chiare e scure, alternate tra loro. T. Young. A Course of Lectures on Natural Philosophy and the Mechanical Arts. 2 vols. London: Joseph Johnson, 1807.

Le descrizioni fisiche moderne sono basate sulla soluzione completa e matematicamente rigorosa del problema della diffusione ottica (o dispersione) di un’onda elettromagnetica su di una sfera o su di un cilindro; questo fenomeno è ricordato anche come fenomeno di Scattering Mie - soluzione completa e matematicamente rigorosa del problema della diffusione ottica (o dispersione) di un’onda elettromagnetica su di una sfera o su di un cilindro -, e discende dagli studi pubblicati dal fisico tedesco Gustav Mie (1869 – 1957) e da Peter J.W. Debye (1884 – 1966) nel 1908, ed è fondata sulle equazioni delle onde elettromagnetiche formulate dal matematico e fisico scozzese James Clerk Maxwell (1831 – 1879), a cui si deve una formulazione matematica precisa del fenomeno ottico dell’arcobaleno. I continui progressi avvenuti nel XX secolo nel calcolo computazionale e nella teoria hanno lentamente portato a una comprensione sempre più completa del fenomeno dell’arcobaleno che tiene conto delle proprietà ondulatorie relative all’interferenza, la diffrazione e la polarizzazione, nonché delle proprietà corpuscolari che devono essere correlate alla quantità di moto trasportata da un raggio luminoso, per il quale una interessante interpretazione contemporanea si deve al fisico brasiliano Herch Moysés Nussenzveig (1933 - ) [22] e, in termini computazionali a Vijay Khare [23], nel 1975, che fornisce risultati simili a quelli ottenuti da Mie.

3. I colori dell’arcobaleno

Lo spettro dei colori dell’arcobaleno è uno spettro continuo formato da un insieme di “intervalli” approssimati per ciascun colore [24] e ciò dipende dalla natura di ciascun occhio umano e dal trattamento neurale dei fotorecettori nel cervello nei confronti dell’immagine luminosa colorata che, per questo motivo, varia da persona a persona. In effetti, uno spettro ottenuto usando un prisma di vetro e una sorgente puntiforme genera un continuo di lunghezze d’onda senza fasce e dunque non permette una scansione precisa dei singoli colori. Isaac Newton nella sua opera sull’Ottica distinse solo cinque colori primari: rosso, giallo, verde, blu e viola e solo in seguito a indagini più precise introdusse l’arancione e l’indaco, formando una scala di sette colori in analogia con le note della scala musicale [25], sulla base delle ipotesi dei sofisti greci, che pensavano ci fosse un collegamento tra i colori e le note musicali. Tuttavia, Newton stesso ammette una difficoltà a riconoscere i colori che appartengono all’arcobaleno: «my own eyes are not very critical in distinguishing colours» [26]. Alla fine del XVIII e agli inizi del XIX secolo, il concetto dello spettro visibile è completamente di-svelato. Gli studi successivi hanno chiarito inoltre i fenomeni della luce che avvengono al di fuori del campo visibile: l’infrarosso è stato scoperto e caratterizzato da William Herschel (1738 - 1822), l’ultravioletto da Johann Wilhelm Ritter (1776 - 1810) e da Thomas Johann Seebeck (1770 – 1831), quest’ultimo descrive anche l’azione dello spettro della luce sul cloruro di argento, diventando di fatto un precursore della fotografia a colori.


           
Fig. 6 – A sin: i colori dell’arcobaleno secondo Newton: prima e seconda ipotesi. A destra: Lo spettro dei colori: l’immagine mostra una rappresentazione approssimativa del colore associato a ogni lunghezza d’onda della luce nella regione visibile. Sotto i 400 nanometri (nm) e al di sopra dei 750 nm, i colori sbiadiscono al nero, perché l’occhio umano non è in grado di percepire la luce al di fuori di questi limiti.

Infine, la ricerca scientifica ha stabilito che l’indaco non è uno dei colori dell’arcobaleno ma solamente una variazione di lunghezza d’onda nel passaggio dal colore blu al colore viola. Secondo Isaac Asimov (1920 - 1992): «It is customary to list indigo as a color lying between blue and violet, but it has never seemed to me that indigo is worth the dignity of being considered a separate color. To my eyes it seems merely deep blue» [27]. Definire i colori dell’arcobaleno è allora diverso da definire lo spettro dei colori, poiché essi sono meno saturi; per ogni lunghezza d’onda particolare vi è una distribuzione di angoli di uscita, piuttosto che un unico angolo invariabile, e il numero di bande di colore di un arcobaleno può quindi essere diverso dal numero di bande in uno spettro, soprattutto se le goccioline d’acqua in sospensione sono particolarmente grandi o piccole. Pertanto, il numero di colori di un arcobaleno è variabile. Se, tuttavia, la parola ‘arcobaleno’ è usata impropriamente per indicare lo spettro dei colori, allora i colori dell’arcobaleno corrispondono al numero di colori principali dello spettro.
La luce dell’arcobaleno è quasi al cento per cento polarizzata e questo fenomeno è dovuto al fatto che l’angolo di rifrazione nella goccia è molto vicino all’angolo di Brewster (David Brewster, 1781 – 1868), scoperto dal fisico scozzese nel 1815. Pertanto, la maggior parte della luce di polarizzazione parallela scompare dalla caduta alla prima riflessione (e rifrazione) all’interno della goccia.
La forma circolare dell’arcobaleno è strettamente legata invece a un problema di minimo: l’angolo che massimizza l’intensità dei raggi solari riflessi dalle gocce d’acqua è costante ed è pari a circa 40° - 42° rispetto all’osservatore; questo angolo è indipendente dalla dimensione di ciascuna particella di acqua in sospensione, ma dipende invece dal suo indice di rifrazione (grandezza adimensionale che quantifica la diminuzione della velocità di propagazione della radiazione elettromagnetica quando attraversa la materia).

   
Fig. 7 Arcobaleno primario e secondario con interposta la “banda oscura di Alessandro” [di Afrodisia].

4. Conclusioni

Trarre le conclusioni di questa breve storia dell’arcobaleno non è certamente impresa facile. In letteratura esiste un’ampia bibliografia [28] sul fenomeno dell’arcobaleno dal punto di vista scientifico, storico, artistico e così via. La storia dell’arcobaleno appartiene certamente alla storia della scienza, e in particolare a quella della Fisica e dell’Ottica, per la quale è tema importante e di ampio respiro epistemologico. Tuttavia, nello studio del fenomeno ottico e luminoso non sempre l’indagine scientifica è stata accolta con ampio favore; in ambito umanistico o artistico si è cercato, dopo la rivoluzione scientifica dell’Illuminismo, di assegnare a questo fenomeno fisico valenze diverse che coinvolgono altre discipline come la filosofia, la religione, la mistica, l’esoterismo, la letterature, l’arte, ecc. Ci sono stati, infatti, studiosi, letterati e artisti che hanno sostenuto che l’analisi fisico-matematica dei fenomeni naturali ne sminuisce il loro fascino. Per questo ci piace concludere questo scritto con alcune sintetiche considerazioni di carattere più letterario.
Se, come evidenzia Virginia Woolf (1882 - 1941) nel romanzo “To the Lighthouse” pubblicato nel 1927, l’arcobaleno rappresenta la caducità della vita e la mortalità dell’uomo – “Era tutto effimero come un arcobaleno”, « it was all ephemeral as a rainbow » [Chapter 3] -, l’arida rappresentazione fisico-matematica del fenomeno ottico, “effimero” ed evanescente, inavvicinabile e impalpabile, toglie al fenomeno sensoriale tutta la poesia di un fenomeno atmosferico che più colpisce l’immaginario e la fantasia dell’uomo.
Johann Wolfgang von Goethe (1749 – 1832) nel suo saggio sulla Teoria dei colori [29] scrisse che l’analisi scientifica dei colori dell’arcobaleno condotta da Newton avrebbe “paralizzato il cuore della natura” [30]: « Einen Regenbogen, der eine Viertelstunde steht, sieht man nicht mehr an » [31]. Della stessa opinione sono stati Charles Lamb (1775 – 1834) e, come abbiamo visto John Keats. Secondo i due poeti Newton « had destroyed all the poetry of the rainbow, by reducing it to the prismatic colours » [32], e durante una cena nel 1817, proposero questo brindisi:

« Salute a Newton e che la sua matematica gli si confonda in testa! » [33]


Note e bibliografia


[1]   Raymond L. Lee, Alistair B. Fraser. The rainbow bridge: rainbows in art, myth, and science. Penn State Press, 2001 p. 109.
[2]   Nel trattato De iride et de radialibus impressionibus Teodorico fornì una prima spiegazione scientifica che ancora oggi si ritiene valida in senso fenomenologico del fenomeno dell’arcobaleno, fenomeno peraltro che aveva già attirato l’attenzione di studiosi dell’importanza di Robert Grosseteste (Roberto Grossatesta, ca. 1175 – 1253), Roger Bacon e Witelo [Erazmus Ciolek Witelo, noto anche come Vitellione, (ca. 1230 – post 1280 / ante 1314)]. Il domenicano tedesco diede un’interpretazione dell’arcobaleno come il risultato della rifrazione della luce nel suo spettro di colori, nonostante egli non fosse propriamente uno scienziato e in particolare un fisico sperimentale e, pertanto, non padroneggiasse il metodo sperimentale e la dimostrazione scientifica del fenomeno fisico nel senso Galileiano del termine, nondimeno rivelando una capacità nella ricerca svolta con intenti propriamente scientifici, facendo dello studioso tedesco un naturale interprete degli studi “nell’ambito della tradizione albertina” [cfr. Elisa Chiti, voce “Teodorico di Freiberg” in Manuale di Filosofia Medievale on-line, Università di Siena - Facoltà di lettere e filosofia]. Per quanto riguarda l’opera di Teodorico si veda: Theodericus de Vriberg, Opera omnia, a cura di J.-D. Cavigioli, R. Imbach, B. Mojsisch, M.R. Pagnoni-Sturlese, R. Rehn, H. Steffan, L. Sturlese, W.A. Wallace, Voll. I-IV. Hamburg: Meiner, 1994 (Corpus Philosophorum Teutonicorum Medii Aevi II/1-4). Comprende tra gli altri scritti su: De coloribus, De elementis corporum naturalium, De iride et de radialibus impressionibus, De luce et eius origine, De miscibilibus in mixto, De tempore. Si veda anche: Giovanni Battista Venturi, Commentari sopra la storia e le teorie dell’ottica, I. Bologna: Masi, 1814, p. III: Dell’Iride, pp. 149-246. Engelbert Krebs, Meister Dietrich (Theodoricus Teutonicus de Vriberg) sein Leben, seine Werke, seine Wissenschaft in Beiträge zur Geschichte der Philosophie des Mittelalters Texte u. Untersuchungen, part V. Münster, 1906, pp. 5-6.
[3]   Kamāl al-Dīn Hasan ibn Ali ibn Hasan al-Fārisī o anche Abu Hasan Muhammad ibn Hasan, matematico originario di Tabriz (Iran) ha dato importanti contributi scientifici alla teoria dei numeri e alla teoria matematica della luce, con interessanti spunti sul colore e sul fenomeno dell’arcobaleno [Cfr. Roshdi Rashed, Biografia di al-Fārisī, in Dictionary of Scientific Biography. New York: American Council of Learned Societies, Charles Scribner’s Sons, 1970-1990].
[4]   Hüseyin Gazi Topdemir. Kamal Al-Din Al-Farisi’s Explanation of the Rainbow. Humanity & Social Sciences Journal, 2 (1), 2007: 75–85.
[5]   Carl Benjamin Boyer. Robert Grosseteste on the Rainbow. Osiris 11: 247–258, 1954.
[6]   Carl Benjamin Boyer, The rainbow: from myth to mathematics. New York: Yoseloff, 1959: 127-129.
[7]   Nathan Sivin. Science in Ancient China: Researches and Reflections. Brookfield. Vermont: Ashgate Publishing. p. 24, 1995
[8]   John Henry Bridges, The Opus Majus of Roger Bacon. Vol. I. London: Williams and Norgate, 1900. Occorre inoltre rilevare come alla fine del XIII secolo il filosofo e fisico polacco Witelo, riprendendo le ipotesi di Alhazen, aveva affermato che la deviazione dei raggi luminosi per rifrazione era molto più accentuata quanto più fosse denso il mezzo attraverso il quale il raggio di luce sarebbe passato. Il saggio di Witelo, Vitellonis Thuringopoloni opticæ libri decem, è contenuto nell’Opticæ Thesaurus di Friedrich Risner (1533 – 1580) pubblicato a Basel nel 1572. Cfr. anche Nader El-Bizri, A Philosophical Perspective on Alhazen’s Optics, Arabic Sciences and Philosophy, Vol. 15, Issue 2 (2005), pp. 189-218, Cambridge University Press.
[9]   David C. Lindberg, Roger Bacon’s Theory of the Rainbow: Progress or Regress? Isis, 57, 2 (1966): 235.
[10] Johann Fleischer, De iridibus doctrina Aristotelis et Vitellionis. Witebergae: Iohannes Crato, 1571
[11] Francesco Maurolico. Photismi de lumine et umbra ad perspectivam, & radiorum incidentiam facientes. Diaphanorum partes, seu libri tres. Editio princeps. Neapoli: ex typographia Tarquinij Longi, 1611 (gli scritti che compaiono in questo trattato furono composti tra il 1521 e il 1552).
[12] Marco Antonio de Dominis, edito da Giovanni Bartolo, De radiis visus et lucis in vitris perspectivis et iride tractatus Marci Antonii de Dominis, Per Ioannem Bartolum in lucem editus: in quo inter alia ostenditur ratio instrumenti cuiusdam ad clare videndum, quae sunt valde remota excogitati. Venetiis: apud Thomam Baglionum, 1611.
[13] Stanley David Gedselman. Did Kepler’s Supplement to Witelo Inspire Descartes’ Theory on the Rainbow? Bulletin American Meteorological Society, Vo. 70, No. 7, July 1989, pp. 750-751.
[14] René Descartes, Discours de la méthode pour bien conduire sa raison, et chercher la verité dans les sciences Plus la Dioptrique, les Meteores, et la Geometrie qui sont des essais de cete Methode. Leyde: Ian Maire, 1637, p. 250.
[15] La legge di Snell, nota anche come legge di Descartes o legge di Snell-Descartes descrive le modalità di rifrazione di un raggio luminoso nella transizione tra due mezzi con indice di rifrazione diverso tra loro, ed è valida in generale solo per mezzi isotropi, come il vetro e ha molte affinità con il Principio di Fermat (Pierre de Fermat, 1601 – 1665) secondo cui «il percorso fra due punti preso da un raggio di luce è quello che è attraversato nel minor tempo». Una prima formulazione della Legge di Snell-Descartes si trova in un manoscritto del matematico arabo Abū Saʿd al-ʿAlāʾ ibn Sahl (X sec.) redatto nel 984, in seguito probabilmente intuita dall’astronomo e matematico Thomas Harriot (1560 - 1621) nel 1602, che però non pubblicò il suo lavoro, riscoperta da Willebrord Snell nel 1621, in una forma matematicamente del tutto equivalente, ma rimasta inedita fino alla sua morte e, infine, ri-edita da Descartes in termini di funzioni sinusoidali nel suo trattato Discours de la méthode... del 1637 (Leyde: Ian Maire), che la usò per risolvere diversi problemi di ottica.
[16] « … Non tutti gli incantesimi volano / Al mero tocco della fredda filosofia? / C’era un terribile arcobaleno un tempo nei cieli: / Conosciamo il suo ordito, la sua trama; è riposto / Nel catalogo ottuso delle cose comuni. / La filosofia taglierà le ali di un Angelo, / Conquisterà tutti i misteri con leggi e linee, / Svuoterà la spettrale aria, e la miniera degli gnomi – / Disferà un arcobaleno … » (John Keats, Lamia).
[17] Isaac Newton. Opticks or, a Treatise of the Reflexions, Refractions, Inflexions and Colours of Light: also Two Treatises of the Species and Magnitude of Curvilinear Figures. London: Sam. Smith & Benj. Walford, 1704.
[18] L’arcobaleno, fenomeno ottico e meteorologico, che produce uno spettro quasi continuo di luce nel cielo quando un raggio solare attraversa le gocce d’acqua rimaste in sospensione dopo ad esempio un temporale, a formare un arco multicolore, rosso sull’esterno e viola sulla parte interna, senza transizioni nette tra un colore e l’altro, è la conseguenza della dispersione e della rifrazione della luce solare contro le pareti delle gocce stesse. Quando questo fenomeno si moltiplica in successione nel cielo attraverso la formazione di diversi deboli arcobaleni nel lato interno dell’arco primario e, molto raramente, anche all’esterno di quello secondario, leggermente separati tra loro e formati da fasce di colori pastello (con lunghezza d’onda leggermente diverse all’interno delle gocce di pioggia), questi sono ricordati come arcobaleni o archi “soprannumerari”, e la loro esistenza è complessa da giustificare utilizzando le teorie dell’ottica classica. L’esistenza di questi fenomeni ha contribuito a sviluppare la teoria ondulatoria della luce e la prima spiegazione scientifica fu fornita da Thomas Young nel 1804.
[19] Edme Mariotte. Essais de Physique, ou Mémoires pour servir à la connoissances des choses naturelles. Paris: Michallet, 1679-81.
[20] Thomas Young. The Bakerian Lecture: On the Theory of Light and Colours. Philosophical Transactions of the Royal Society of London, 92, pp. 12–48, 1802.
[21] John Brand. Lines of light: the sources of dispersive spectroscopy, 1800-1930. CRC Press: 30–32, 1995.
[22] H. M. Nussenzveig, The theory of the rainbow, H. M., Sci. Am. 236, 116-127 (1977).
[23] V. Khare and H. M. Nussenzveig. Theory of the rainbow. Phys. Rev. Letters, 33 (16): 976-980, 1974.
[24] Brent Berlin e Paul Kay, Basic Color Terms: Their Universality and Evolution. Berkeley: University of California Press, 1969.
[25] «Ex quo clarissime apparet, lumina variorum colorum varia esset refrangibilitate : idque eo ordine, ut color ruber omnium minime refrangibilis sit, reliqui autem colores, aureus, flavus, viridis, cæruleus, indicus, violaceus, gradatim & ex ordine magis magisque refrangibiles». Isaac Newton, Optice: Sive de Reflexionibus, Refractionibus, Inflexionibus & Coloribus Lucis. Libri Tres, Propositio II, Experimentum VII. Lausannae & Genevae: Marci-Michaelis Bousquet, 1740.
[26] Isaac Asimov. Eyes on the Universe: A History of the Telescope. Boston: H. Mifflin, 1975, p. 59.
[27] John Gage. Color and Meaning. Art, Science and Symbolism. Berkeley: Univ. of California, 1994; 140.
[28] Giambattista Venturi, Commentarî sopra la storia delle teorie dell’ottica. Bologna: Masi, 1814. Éleuthère Mascart, Traité d’Optique. 3 voll. Paris: Gauthier-Villars, 1894. Marcel G. J. Minnaert, Lynch, David K. e Livingston, William, The Nature of Light and Color in the Open Air. New York: Dover Publications, 1973. H. Moyses Nussenzveig, L’arcobaleno, Le Scienze, Agosto 1977, pp. 88-101. Robert Greenler, Rainbows, Halos, and Glories. Cambridge University Press, 1980. Carl B. Boyer, The Rainbow, From Myth to Mathematics. Princeton University Press, 1987. Michel Blay, Les figures de l’arc-en-ciel. Paris: Ed. Carré, 1995. David K. Lynch e William Livingston. Color and Light in Nature, 2nd edition. Cambridge: University Press, 2001. Raymond L. Lee e Alastair B. Fraser, The Rainbow Bridge: Rainbows in Art, Myth and Science. New York: Pennsylvania State University Press and SPIE Press, 2001. Bernard Maitte, Histoire de l’arc-en-ciel. Paris: Seuil, 2005. Bernard Maitte. Storia dell’arcobaleno. Luce e visione, tra scienza e simboli. Roma: Donzelli, 2006.
[29] Johann Wolfgang von Goethe. Zur Farbenlehre. Tubinga: J.G. Cotta’schen Buchhandlung, 1810.
[30] Per maggiori approfondimenti sulla polemica Goethe-Newton sul colore vedi: Massimo Corradi. La teoria dei colori di Johann Wolfgang von Goethe. In Colore e colorimetria. Contributi multidisciplinari Vol. XA, a cura di Rossi Maurizio, Marchiafava Veronica, pp. 401-712. S. Arcangelo di Romagna (RN): Maggioli Editore, 2014.
[31] “Un arcobaleno che sta lì un quarto d’ora non si vede più” (J.W. Goethe, Maximen und Reflexionen).
[32] Alfred Ainger. Charles Lamb. Cambridge University Press, 2011, p. 86.
[33] « Newton’s health, and confusion to mathematics », A. Ainger. Idem.