Breve storia dell’arcobaleno
1Massimo Corradi
1Dipartimento di Scienze per l’Architettura,
Scuola Politecnica - Genova, corradi@arch.unige.it
« Hic ubi sol radiis tempestatem
inter opacam
adversa fulsit nimborum aspargine contra
tum color in nigris existit nubibus arqui ».
(Lucrezio, De rerum natura:
VI, 524-526)
1. Introduzione
La storia dell’arcobaleno è antica quanto la storia della
scienza. Già Alessandro di Afrodisia (III sec. – II sec a.C.) aveva cercato di
descrivere l’arcobaleno come fenomeno di luce e colori e a lui si assegna la
paternità della scoperta della zona scura tra l’arcobaleno primario e quello
secondario; si deve invece ad Aristotele (384 o 383 – 322 a.C.) una prima completa
descrizione del fenomeno ottico: «L’arcobaleno
non forma mai un’intera circonferenza e nemmeno un arco maggiore di una
semicirconferenza. Al tramonto e all’alba lo spessore dell’arco è stretto e l’arco
ha la massima estensione. Quando il sole si alza maggiormente nel cielo lo
spessore si allarga e la lunghezza dell’arco si riduce. Dopo l’equinozio d’autunno,
nei giorni più corti, può essere visto a qualunque ora del giorno; in estate
non può essere visto nelle ore del mezzogiorno. Non ci sono mai più di due
arcobaleni nello stesso tempo. Ognuno di essi ha tre colori. I colori sono gli
stessi in entrambi e il loro numero è identico, ma nell’arcobaleno esterno sono
più deboli e la loro posizione è invertita. Nell’arcobaleno interno la prima e
più larga striscia è rossa; in quello esterno la striscia più vicina a quello interno
è dello stesso colore ma più stretta. Per le alte strisce vale lo stesso
principio. Queste hanno gli unici colori che i pittori non possono fabbricarsi,
dato che ci sono colori da essi creati con misture, ma nessuna mistura può dare
il rosso, il verde e il blu. Questi sono i colori dell’arcobaleno, per quanto
talora tra il rosso e il verde si possa vedere il giallo » [Aristotele, Meteorologia: Libro III]. In questo
modo, l’arcobaleno entra a pieno titolo tra i fenomeni oggetto di studio da
parte dei fisici anche se, secondo Lee e Fraser: « Despite its many flaws
and its appeal to Pythagorean numerology, Aristotle’s qualitative explanation
showed an inventiveness and relative consistency that was unmatched for
centuries. After Aristotle’s death, much rainbow theory consisted of reaction
to his work, although not all of this was uncritical » [1]. La
descrizione aristotelica dei colori dell’arcobaleno riduce a tre il loro
numero, e questa interpretazione fu accettata per molto tempo, con sottili
differenze numerologiche associando i tre colori alla Trinità o altrimenti
quattro colori associati ai quattro elementi della tradizione empedoclea. La
riflessione della luce del sole tra le nuvole, lo studio dell’angolo di
incidenza dei raggi luminosi, la spiegazione della forma circolare dell’arcobaleno,
l’effetto ottico di profondità infinita rispetto all’origine del fenomeno
luminoso sono tutte questioni che hanno incuriosito per secoli studiosi di
differenti discipline.
Nelle Naturales
Quaestiones (ca. 65 d.C.), Lucius Annaeus Seneca (ca. 4 a.C. - 65 d.C.)
dedica un intero libro alla spiegazione del fenomeno dell’arcobaleno ed espone
la teoria secondo la quale l’arcobaleno, che appare sempre di fronte al sole, è
prodotto dal riflesso dei raggi solari sulle goccioline d’acqua, così come dal
riflesso dei raggi solari in una nuvola a forma di specchio concavo, e racconta
come si possa vedere l’arcobaleno in un cilindro di vetro attraversato da un
raggio luminoso, anticipando, di fatto, le esperienze di Isaac Newton (1642 -
1727) con il prisma ottico.
Roger Bacon (1214 – 1294), Teodorico di Freiberg (Meister
Dietrich, Theodoricus Teutonicus de Vriberg, ca. 1250 – ca. 1310) [2] e René Descartes
(1596 – 1650) - per non citarne che alcuni - affrontano per via speculativa lo
studio del fenomeno visivo inframmezzando tra loro scienza e alchimia, ragione
e sentimento: i colori dell’arcobaleno arrivano (agli occhi) per effetto di
fenomeni fisici e sensoriali, interpretativi ed esperienziali. Si deve, invece,
a Willebrord Snell (Willebrordus Snellius, 1580 – 1626) la comprensione (1621)
che l’arcobaleno è un fenomeno strettamente fisico e come l’arcobaleno deve
diventare argomento di studio rigoroso secondo le leggi matematico-fisiche
della riflessione e della rifrazione; e poi a Newton la comprensione (1666) che
l’indice di rifrazione dipende dalla lunghezza d’onda per cui ogni raggio di
sole genera il proprio arcobaleno. In questa breve nota si vuole ripercorrere
una storia spesso dimenticata che attraverso le prime intuizioni dei filosofi
greci fino ad arrivare alla scienza moderna ha connotato la ricerca in un campo
della fisica dove il colore dell’arcobaleno appartiene sì al mondo della fisica
ma altresì - come scriverà nel 1803 Thomas Young (1773 – 1829), siccome “le
onde luminose creano alternanza tra luce e tenebre”, tra conoscenza e
speculazione teoretica, per successive interferenze costruttive e distruttive -,
il colore dell’arcobaleno appartiene, di fatto, al mondo speculativo come a
quello dell’immaginazione.
2. Alle origini della nostra storia
I primi studi di carattere scientifico - nel senso moderno
del termine - risalgono al Medioevo arabo: l’astronomo e matematico persiano Qutb
Al-Dīn al-Shirāzī (1236 – 1311) e il suo allievo al-Fārisī, conosciuto anche
come Kamāl al-Dīn (1260 – 1320) [3], cercano di dare una prima descrizione
matematica del fenomeno dell’arcobaleno, abbastanza accurata per l’epoca perché
basata sul fenomeno della rifrazione della luce come descritto nell’Ottica di Abū ʿAlī al-Ḥasan ibn al-Ḥasan
ibn al-Haytham, o anche Alhazen (965 - 1039), matematico originario di Basra,
Persia oggi Iraq, e sugli studi di Avicenna (Ibn Sinā, o Abū ʿAlī al-Ḥusayn ibn
ʿAbd Allāh ibn Sīnā, 980 – 1037). Ibn al-Haytham aveva immaginato che la luce
del sole, affinché sia in grado di formare l’arcobaleno, deve essere riflessa
dalle nuvole prima di raggiungere l’occhio umano. In questo modo le gocce d’acqua
che formano le nuvole riflettono il raggio di luce e formano i colori dell’arcobaleno
attraverso una rifrazione e due o più riflessioni, come un’immagine che si forma
in uno specchio sferico, concavo, continuo e liscio, riflettente, e formato da
aria umida e densa [4]. L’esperimento di indubbia difficoltà nel poter essere
ripetuto, come peraltro previsto dal metodo Galileiano, poteva essere svolto,
secondo lo studioso persiano, studiando il fenomeno della rifrazione di un
raggio di luce attraverso una sfera di vetro trasparente piena d’acqua, un
modello sperimentale su larga scala di una goccia di pioggia. Per valutare lo
spettro dei colori era necessario introdurre il modello entro una camera oscura
dotata di un’apertura controllata per l’introduzione del raggio di luce. Sia ibn
al-Haytham che il poliedrico Avicenna avevano inoltre immaginato che l’arcobaleno
non si forma nella nuvola scura ma piuttosto nello strato sottile di nebbia
compresa tra la nuvola, il sole e l’osservatore. La nuvola svolge la funzione
di sfondo a questa sostanza sottile, come una fodera di argento vivo è posta
sulla superficie posteriore del vetro in uno specchio [5]. Numerose prove con dettagliate
osservazioni sulla riflessione e sulla rifrazione della luce permisero ad al-Fārisī
di stabilire che i colori dell’arcobaleno sono fenomeni di decomposizione della
luce, come riporterà nel suo trattato sull’Ottica (Kitāb Tanqih al-Manāẓir, ca. 1319). Il problema della formazione
dei colori dell’arcobaleno è, invece, molto più complesso da spiegare e al-Fārisī
immagina che i colori siano prodotti dalla sovrapposizione di diverse forme
dell’immagine su uno sfondo scuro per miscelazione con la luce, riprendendo
peraltro la teoria enunciata dal suo maestro al-Shirāzī [6].
Nella scienza cinese, al tempo della Dinastia Song
(960-1279), un poliedrico studioso di nome Shen Kuo (1031 - 1095) - geologo,
astronomo, ambasciatore, matematico, cartografo, zoologo, botanico, generale,
ingegnere idraulico, farmacologo cinese - ipotizza, come il suo predecessore
Sun Sikong (1015 - 1076), che l’arcobaleno sia formato dall’incontro dei raggi
solari con le goccioline di pioggia presenti in sospensione nell’aria [7] in
accordo con i principi scientifici che stanno alla base della spiegazione
scientifica ‘moderna’.
Nel vecchio Continente, Alberto Magno (1206 – 1280) nel
XXVIII capitolo del Meteororum (Colonia,
1250) attribuisce alle singole gocce d’acqua e non alla nube intera la formazione
dell’arcobaleno che avviene non solo per semplice riflessione su una superficie
convessa, ma anche per rifrazione. Introduce allora la “riflessione” e la
“rifrazione” della luce sulle gocce per spiegare il fenomeno, anche se
attribuisce alla sola riflessione sulla loro superficie interna la formazione
dell’arco colorato. Nello stesso tempo il filosofo inglese Roger Bacon (Ruggero
Bacone ricordato anche come il Doctor
mirabilis), sviluppando gli studi sulla luce di Robert Grosseteste (ca.
1175 – 1253) - fondatore della tradizione del pensiero scientifico nella Oxford
medioevale secondo Alistair Cameron Crombie (1915 – 1996) -, si dedica allo
studio di questo fenomeno cercando di ottenere – per mezzo di un astrolabio - una
misura dell’angolo che si forma tra la luce incidente del Sole e la luce
diffusa dai due archi dell’arcobaleno - quello primario e quello secondario –,
ottenendo valori che variano tra i 138° e 130°; i colori sono luce incorporata
nella materia, stimolata da una luce proveniente dall’esterno (quella del
sole), e più la materia è stimolata più la luce è splendente. I suoi
esperimenti riguardano l’analisi del passaggio dei raggi di luce attraverso
cristalli e goccioline d’acqua (Opus
Majus. Part V: Optics e Part VI: Experimental Science 1628) [8]. Occorre
inoltre rilevare che il Trattato sull’Ottica di ibn al-Haytham fu tradotto in
latino da Robert Grosseteste e quasi sicuramente era noto a Roger Bacon.
Agli inizi del XIV secolo il domenicano Teodorico di
Freiberg ipotizza che il fenomeno luminoso dipenda dalla riflessione della luce
solare attraverso le gocce d’acqua in sospensione aerea e svolge alcuni
esperimenti utilizzando bocce sferiche riempite d’acqua, fornendo un’accurata
descrizione dell’arcobaleno primario e di quello secondario. Secondo lo
studioso sassone, l’arcobaleno primario si forma «quando la luce solare cade sulle singole gocce di umidità, i raggi
subiscono due rifrazioni (una all’ingresso e una all’uscita) e una riflessione
(sul retro della goccia) prima di essere trasmessa all’occhio dell’osservatore»
[9], mentre l’arcobaleno secondario è un fenomeno che similmente dipende invece
da due rifrazioni e due riflessioni. Secondo Teodorico i colori sono una mélange di due qualità, lo splendore è
l’oscurità. Le stesse idee furono riprese da Johann Fleischer (1539 – 1593) nel
suo trattato sulla dottrina Aristotelica dell’arcobaleno (1571) [10].
Fig. 1 – A sin: frontespizio del Opticae Thesaurus (Basileae: Friedrich Risner, 1572) che include il
trattato sull’ottica (Kitāb al-Manāẓir)
di Alhazen in cui appaiono: arcobaleni, specchi parabolici, immagini distorte
causate dalla rifrazione della luce nell’acqua, e altri effetti ottici. A destra: l’immagine
mostra la rifrazione della luce attraverso un contenitore sferico di vetro
pieno d’acqua. Da Roger
Bacon o forse Robert Grosseteste: Opus
Majus or De multiplicatione specierum or possibly De natura locorum
[Manoscritto della British Library: Royal 7 F. VIII, Page Folio Number: f.25.
A. C. Crombie, Robert Grosseteste and the
Origins of Experimental Science (Oxford: Clarendon Press, 1983), descrive
l’immagine come segue: “Diagram
illustrating Grosseteste’s theory, in De
natura locorum (cfr. pp. 122, 149) of the focusing of the sun’s rays by a spherical
lens; from Roger Bacon’s Opus Maius,
iv. ii. 2, MS Roy. 7. F. viii, f. 25v”].
Gregor Reisch (ca. 1467 – 1523) nella sua Margarita philosophica (Friburgo in
Brisgovia: Johannes Schott, 1503) afferma che l’arcobaleno principale appare
quando la luce si riflette su una superficie concava e il suo aspetto dipende
dalla moltitudine delle gocce. Girolamo Cardano (1501 – 1576) riprende le
teorie di Alberto Magno, Roger Bacon e Witelo. Nel 1494 Francesco Maurolico (1494
- 1575) nella sua opera Photismi de
lumine et umbra [11], probabilmente una tra le migliori opere di ottica del
XVI secolo, afferma che la luce si riflette sulla parte convessa esterna e su
quella concava interna della goccia d’acqua ed è in questo modo che si forma il
fenomeno dell’arcobaleno, attraverso un grande numero di riflessioni.
Giambattista Della Porta (1535 – 1615) nel De
refractione optices (Neapoli: Iacobum Carlino, 1593) immagina i due archi
come prodotti di rifrazioni su due diverse nubi.
Fig. 2 – A sin.: rappresentazione dell’arcobaleno
secondario, secondo Teodorico di Freiberg. A destra: fenomeno delle riflessioni
multiple secondo Maurolico (Photismi,
Theorema XXIX, p. 54; Neapoli: Tarquinij Longi, 1611).
Marco Antonio de Dominis (1560 - 1624) pubblica nel 1611 una
prima opera che tratta del fenomeno dell’arcobaleno dal punto di vista
fisico-geometrico. Il suo testo dal titolo Tractatus
de radiis visus et lucis in vitris, perspectivis et iride [12] è un primo
saggio che affronta il fenomeno dell’arcobaleno e la spiegazione che da lo
studioso dalmata è sicuramente convincente. Egli mostra che i raggi del sole
che attraversano una sfera di vetro piena d’acqua formano un arcobaleno sulle
pareti del suo laboratorio. Osservando il percorso dei raggi luminosi egli
osserva che essi sono riflessi dal fondo della sfera che si comporta come uno
specchio concavo e uscendo al di fuori della sfera vitrea subiscono una nuova
rifrazione. La sua opera è successiva a una serie di studi condotti a seguito
di esperimenti simili a quelli svolti da Teodorico di Freiberg, e in essa
traspare una conoscenza approfondita della letteratura sul tema.
Nel 1604 Johannes Kepler (1571 - 1630) riprende gli studi del
monaco, matematico, fisico, filosofo e teologo polacco Witelo ma non riesce a
stabilire la legge di rifrazione della luce [13].
In seguito l’astronomo siciliano Giovan Battista Hodierna (1597
- 1660) studia il fenomeno della luce che passa attraverso un prisma,
precedendo addirittura le ricerche di Newton, come indica nella pubblicazione
del 1652 “Thaumantiae miraculum”
(Palermo: Niccolò Bua), e formula anche una vaga spiegazione dell’arcobaleno;
introduce inoltre una distinzione tra colori ‘forti’ e colori ‘deboli’ separati
dal bianco. In questo scritto, la trattazione geometrico-quantitativa dei
fenomeni luminosi affonda le radici in quella che si può definire una
metafisica della luce, giustificando in questo modo il primato dell’ottica
sulle altre scienze, sulla base del primato ontologico della luce.
L’inizio dell’VIII discorso de Les Météores, dedicato da Descartes all’arcobaleno, costituisce il
cambio di paradigma nello studio del fenomeno fisico dell’arcobaleno. Descartes
comincia il suo discorso con questa affermazione: « L’Arc-en-ciel est une
merveille de la nature si remarquable, & sa cause a esté de tout tems si
curieusement recherchée par les bons esprits, & si peu connuë, quei e ne
sçaurois choisir de matiere plus propre a faire voir comment par la methode
dont ie me fers on peut venir a des connoissances, que ceux dont nous avons le
escrits n’ont point euës » [14].
Fig. 3 – A sin: René Descartes, Discours de la méthode pour
bien conduire sa raison, et chercher la verité dans les sciences Plus la
Dioptrique, les Meteores, et la Geometrie qui sont des essais de cete Methode. Leyde: Ian Maire, 1637, p. 251. A
destra: l’arcobaleno di Newton. Illustrazione
tratta dal trattato Opticks di Isaac Newton.
London: S. Smith, and B. Walford, 1704.
Descartes affronta il problema su una base prettamente
scientifico-matematica, a partire dalle leggi di rifrazione che portano il suo
nome e fornisce una interessante dimostrazione matematica del perché l’arcobaleno
ha forma semicircolare utilizzando i nuovi strumenti del calcolo infinitesimale
che in quegli anni erano in via di sviluppo. Il suo intento è di migliorare la
spiegazione scientifica del fenomeno attraverso l’uso dello strumento
matematico e della prova sperimentale.
Egli sperimenta il passaggio di un raggio di luce attraverso
una grande sfera di vetro riempita di acqua. La misura degli angoli dei raggi
emergenti, lo porta alla conclusione che l’arco primario è causato da una
singola riflessione che avviene all’interno della goccia, mentre l’arco
secondario può, invece, essere causato da due riflessioni interne. Per arrivare
a questo risultato Descartes espone la teoria della legge della rifrazione - come
peraltro aveva fatto Snell [15] - e calcola correttamente gli angoli di
incidenza dei raggi luminosi per entrambi gli archi. Egli stabilisce che il
valore del seno dell’angolo d’incidenza e rifrazione è costante qualunque sia l’angolo
d’incidenza. I raggi luminosi emessi dal sole, supposti puntuali, arrivano
paralleli nei differenti punti della goccia d’acqua e la intercettano con
diversi angoli d’incidenza. I raggi che subiscono una sola riflessione formano
l’arco primario, mentre l’arco secondario, a esso esterno, è formato da una
doppia riflessione all’interno della goccia. Tutti i raggi incidenti non sono
però parimenti efficaci, cioè visibili dall’osservatore: solo quelli che hanno
un angolo d’incidenza prossimo a 59° per l’arco primario e 71° per quello
secondario sono visibili dall’occhio umano.
Non convince, invece, la sua spiegazione sulla formazione
dei colori all’interno dell’arcobaleno poiché basata su una versione
meccanicistica della teoria tradizionale secondo la quale i colori erano
prodotti da una modificazione della luce bianca. Nel suo trattato su Les Météores del 1637 da una spiegazione
del fenomeno fisico che si avvicina molto all’interpretazione data da de
Dominis, senza tuttavia citarlo, forse per non incorrere nella disubbidienza
alla Damnatio memoriae pronunciata dalla
Chiesa nei confronti dell’ex arcivescovo dalmata.
Il ragionamento di Descartes sull’arcobaleno è un
ragionamento di tipo geometrico, che sottrae al fenomeno ogni spessore poetico
e mistico - rimprovero che John Keats (1795 - 1821) muoverà a Newton nel suo
poema Lamia (1820) - e permette agli
uomini di ragionare al tempo stesso da poeti e da fisici, ma certo non più da
teologi, abbandonando una visione mistica che, come cita il versetto 14 del
capitolo IX della “Genesi”, in cui si racconta che Dio traccia nel cielo l’arcobaleno
come segno dell’alleanza stretta con gli uomini, per evitare che sull’umanità
si abbatta un altro diluvio, trascende dal significato sovrannaturale religioso
a quello naturale fisico.
« … Do not all charms fly
At the mere touch of cold philosophy?
There was an awful rainbow once in heaven:
We know her woof, her texture; she is given
In the dull catalogue of common things.
Philosophy will clip an Angel’s wings,
Conquer all mysteries by rule and line,
Empty the haunted air, and gnomed mine –
Unweave a rainbow, …»
(John Keats, Lamia)
[16]
Isaac Newton riprende l’argomento nella sua opera Opticks [17] dando credito a de
Dominis di aver spiegato il fenomeno per primo e in completa autonomia. Newton
fu comunque il primo che diede una dimostrazione scientifica della composizione
dello spettro dei colori affermando che la luce bianca è composta dall’insieme
di tutti i colori dell’arcobaleno; secondo lo scienziato inglese i colori
potevano essere separati nel loro spettro completo per mezzo di un prisma di
vetro attraverso il quale era fatto passare un raggio di luce. Newton mostra
chiaramente che le figure iridescenti generate dai prismi erano dovute alla
decomposizione della luce nelle sue parti cromatiche, contrariamente all’idea
generale che i colori fossero generati “internamente” al prisma, che godeva di
questa singolare proprietà così come le goccioline d’acqua erano responsabili
dell’arcobaleno.
Egli mostrò anche che la luce rossa subiva una rifrazione
minore rispetto a quella blu, fornendo in questo modo la prima spiegazione
scientifica delle principali caratteristiche dell’arcobaleno. Tuttavia, la
teoria corpuscolare della luce così come formulata da Newton non fu in grado di
spiegare il fenomeno dell’arcobaleno o arco “soprannumerario” [18]; infatti, si
dovranno attendere i risultati delle ricerche condotte da Edme Mariotte (1620 –
1684), che descrive gli “archi soprannumerari” (1679) [19], e soprattutto Thomas
Young che arriva a dimostrare che in certe condizioni la luce si comporta come
un’onda, e può interferire con sé stessa.
Fig. 4 – L’osservazione dello spettro dei colori, secondo
Newton, correlato alla scala delle note musicali, come riportato da David
Brewster (1781 - 1868) nella sua opera: Memoirs of the Life,
Writings and Discoveries of Sir Isaac Newton.
Edinburgh: Thomas Constable, 1855.
Nei decenni successivi alla pubblicazione dell’Ottica di
Newton, l’osservazione dei primi fenomeni di interferenza e diffrazione e gli
studi conseguenti sulla luce condussero alla scoperta della teoria ondulatoria:
cruciale fu l’esperimento condotto da Young nel 1801 [20], sulla
sovrapposizione dei raggi luminosi emessi da due sorgenti puntiformi e che gli
consentì di misurare per primo le lunghezze d’onda di differenti colori della
luce [21]. Il carattere ondulatorio della luce fu tuttavia pienamente accettato
solo alcuni anni più tardi, quando il fisico francese Augustin-Jean Fresnel
(1788 – 1827), attraverso lo studio della polarizzazione, riuscì a interpretare
i risultati dell’esperimento di Young assumendo onde elastiche trasversali
anziché longitudinali. All’abbandono della teoria newtoniana contribuirono
anche gli esperimenti sulla determinazione della velocità della luce,
realizzati da Armand Hippolyte Louis Fizeau (1819 – 1896) e Jean Bernard Léon
Foucault (1819 – 1868), nel 1850, che mostrarono come avvenga una diminuzione
della velocità all’aumentare della densità del mezzo attraversato, in contrasto
con le previsioni formulate da Newton.
Il lavoro di Young fu in seguito sviluppato e perfezionato -
negli anni venti del diciannovesimo secolo - dall’astronomo inglese George
Biddell Airy (1801 – 1892), che riprende le teorie ondulatorie di Christiaan
Huygens (1629 – 1695) e Augustin-Jean Fresnel, anche se in parte la trattazione
matematica del fenomeno fu svolta dal chimico Richard Potter (1799 - 1886) nel
1835 e pubblicata nel 1838 sugli Atti della Cambridge
Philosophical Society (Vol. 6, pp. 141-143); Potter spiegò come la forza
dei colori dell’arcobaleno dipendesse anche dalla dimensione delle gocce di
acqua. L’incrocio di più raggi di luce in una goccia d’acqua forma una curva
detta “caustica”, che altro non è se non l’inviluppo di un sistema di raggi in
corrispondenza di un valore massimo della luce.
Fig. 5 – Fig. 442 dalla tavola XXX delle “Lectures” di Thomas Young (1807), che
riprendono il corpus dei lavori presentati alla Royal Society di Londra nel 1802. L’immagine mostra l’esperimento
delle due fenditure (“two slit”) che
sta alla base della teoria ondulatoria della luce. Si tratta del passaggio di un
singolo fascio di luce monocromatica attraverso due minuscoli fori e la
conseguente formazione delle “frange” chiare e scure, alternate tra loro. T. Young. A Course of Lectures on Natural Philosophy and the Mechanical Arts.
2 vols. London: Joseph Johnson, 1807.
Le descrizioni fisiche moderne sono basate sulla soluzione
completa e matematicamente rigorosa del problema della diffusione ottica (o
dispersione) di un’onda elettromagnetica su di una sfera o su di un cilindro;
questo fenomeno è ricordato anche come fenomeno di Scattering Mie - soluzione completa e matematicamente rigorosa del
problema della diffusione ottica (o dispersione) di un’onda elettromagnetica su
di una sfera o su di un cilindro -, e discende dagli studi pubblicati dal fisico
tedesco Gustav Mie (1869 – 1957) e da Peter J.W. Debye (1884 – 1966) nel 1908,
ed è fondata sulle equazioni delle onde elettromagnetiche formulate dal matematico
e fisico scozzese James Clerk Maxwell (1831 – 1879), a cui si deve una
formulazione matematica precisa del fenomeno ottico dell’arcobaleno. I continui
progressi avvenuti nel XX secolo nel calcolo computazionale e nella teoria hanno
lentamente portato a una comprensione sempre più completa del fenomeno dell’arcobaleno
che tiene conto delle proprietà ondulatorie relative all’interferenza, la
diffrazione e la polarizzazione, nonché delle proprietà corpuscolari che devono
essere correlate alla quantità di moto trasportata da un raggio luminoso, per il
quale una interessante interpretazione contemporanea si deve al fisico
brasiliano Herch Moysés Nussenzveig (1933 - ) [22] e, in termini computazionali
a Vijay Khare [23], nel 1975, che fornisce risultati simili a quelli ottenuti
da Mie.
3. I colori dell’arcobaleno
Lo spettro dei colori dell’arcobaleno è uno spettro continuo
formato da un insieme di “intervalli” approssimati per ciascun colore [24] e
ciò dipende dalla natura di ciascun occhio umano e dal trattamento neurale dei
fotorecettori nel cervello nei confronti dell’immagine luminosa colorata che,
per questo motivo, varia da persona a persona. In effetti, uno spettro ottenuto
usando un prisma di vetro e una sorgente puntiforme genera un continuo di
lunghezze d’onda senza fasce e dunque non permette una scansione precisa dei
singoli colori. Isaac Newton nella sua opera sull’Ottica distinse solo cinque
colori primari: rosso, giallo, verde, blu e viola e solo in seguito a indagini
più precise introdusse l’arancione e l’indaco, formando una scala di sette
colori in analogia con le note della scala musicale [25], sulla base delle
ipotesi dei sofisti greci, che pensavano ci fosse un collegamento tra i colori
e le note musicali. Tuttavia, Newton stesso ammette una difficoltà a
riconoscere i colori che appartengono all’arcobaleno: «my own eyes are not
very critical in distinguishing colours» [26]. Alla fine del XVIII e
agli inizi del XIX secolo, il concetto dello spettro visibile è completamente di-svelato.
Gli studi successivi hanno chiarito inoltre i fenomeni della luce che avvengono
al di fuori del campo visibile: l’infrarosso è stato scoperto e caratterizzato
da William Herschel (1738 - 1822), l’ultravioletto da Johann Wilhelm Ritter (1776
- 1810) e da Thomas Johann Seebeck (1770 – 1831), quest’ultimo descrive anche l’azione
dello spettro della luce sul cloruro di argento, diventando di fatto un
precursore della fotografia a colori.
Fig. 6 – A sin: i colori dell’arcobaleno secondo Newton:
prima e seconda ipotesi. A destra: Lo spettro dei colori: l’immagine mostra una
rappresentazione approssimativa del colore associato a ogni lunghezza d’onda
della luce nella regione visibile. Sotto i 400 nanometri (nm) e al di sopra dei
750 nm, i colori sbiadiscono al nero, perché l’occhio umano non è in grado di
percepire la luce al di fuori di questi limiti.
Infine, la ricerca scientifica ha stabilito che l’indaco non
è uno dei colori dell’arcobaleno ma solamente una variazione di lunghezza d’onda
nel passaggio dal colore blu al colore viola. Secondo Isaac Asimov (1920 - 1992):
«It is customary to list indigo as a color lying between blue and violet,
but it has never seemed to me that indigo is worth the dignity of being
considered a separate color. To my eyes it seems merely deep blue» [27].
Definire i colori dell’arcobaleno è allora diverso da definire lo spettro dei
colori, poiché essi sono meno saturi; per ogni lunghezza d’onda particolare vi
è una distribuzione di angoli di uscita, piuttosto che un unico angolo
invariabile, e il numero di bande di colore di un arcobaleno può quindi essere
diverso dal numero di bande in uno spettro, soprattutto se le goccioline d’acqua
in sospensione sono particolarmente grandi o piccole. Pertanto, il numero di
colori di un arcobaleno è variabile. Se, tuttavia, la parola ‘arcobaleno’ è
usata impropriamente per indicare lo spettro dei colori, allora i colori dell’arcobaleno
corrispondono al numero di colori principali dello spettro.
La luce dell’arcobaleno è quasi al cento per cento
polarizzata e questo fenomeno è dovuto al fatto che l’angolo di rifrazione nella
goccia è molto vicino all’angolo di Brewster (David Brewster, 1781 – 1868),
scoperto dal fisico scozzese nel 1815. Pertanto, la maggior parte della luce di
polarizzazione parallela scompare dalla caduta alla prima riflessione (e
rifrazione) all’interno della goccia.
La forma circolare dell’arcobaleno è strettamente legata
invece a un problema di minimo: l’angolo che massimizza l’intensità dei raggi
solari riflessi dalle gocce d’acqua è costante ed è pari a circa 40° - 42°
rispetto all’osservatore; questo angolo è indipendente dalla dimensione di
ciascuna particella di acqua in sospensione, ma dipende invece dal suo indice
di rifrazione (grandezza adimensionale che quantifica la diminuzione della
velocità di propagazione della radiazione elettromagnetica quando attraversa la
materia).
Fig. 7 – Arcobaleno primario e secondario con interposta la “banda oscura di Alessandro” [di
Afrodisia].
4. Conclusioni
Trarre le conclusioni di questa breve storia dell’arcobaleno
non è certamente impresa facile. In letteratura esiste un’ampia bibliografia [28]
sul fenomeno dell’arcobaleno dal punto di vista scientifico, storico, artistico
e così via. La storia dell’arcobaleno appartiene certamente alla storia della
scienza, e in particolare a quella della Fisica e dell’Ottica, per la quale è
tema importante e di ampio respiro epistemologico. Tuttavia, nello studio del
fenomeno ottico e luminoso non sempre l’indagine scientifica è stata accolta
con ampio favore; in ambito umanistico o artistico si è cercato, dopo la
rivoluzione scientifica dell’Illuminismo, di assegnare a questo fenomeno fisico
valenze diverse che coinvolgono altre discipline come la filosofia, la
religione, la mistica, l’esoterismo, la letterature, l’arte, ecc. Ci sono stati,
infatti, studiosi, letterati e artisti che hanno sostenuto che l’analisi
fisico-matematica dei fenomeni naturali ne sminuisce il loro fascino. Per
questo ci piace concludere questo scritto con alcune sintetiche considerazioni
di carattere più letterario.
Se, come evidenzia Virginia Woolf (1882 - 1941) nel romanzo
“To the Lighthouse” pubblicato nel 1927, l’arcobaleno
rappresenta la caducità della vita e la mortalità dell’uomo – “Era tutto
effimero come un arcobaleno”, « it was all ephemeral as a rainbow » [Chapter 3] -, l’arida rappresentazione fisico-matematica
del fenomeno ottico, “effimero” ed evanescente, inavvicinabile e impalpabile,
toglie al fenomeno sensoriale tutta la poesia di un fenomeno atmosferico che
più colpisce l’immaginario e la fantasia dell’uomo.
Johann Wolfgang von Goethe (1749 – 1832) nel suo saggio
sulla Teoria dei colori [29] scrisse che l’analisi scientifica dei colori dell’arcobaleno
condotta da Newton avrebbe “paralizzato il cuore della natura” [30]: « Einen
Regenbogen, der eine Viertelstunde steht, sieht man nicht mehr an » [31]. Della stessa opinione sono
stati Charles Lamb (1775 – 1834) e, come abbiamo visto John Keats. Secondo i
due poeti Newton « had destroyed all the poetry of the rainbow, by
reducing it to the prismatic colours » [32], e durante una cena nel 1817,
proposero questo brindisi:
« Salute a Newton e che la sua matematica gli
si confonda in testa! »
[33]
Note e bibliografia
[1]
Raymond L. Lee, Alistair B. Fraser. The rainbow bridge: rainbows in art, myth, and science. Penn State Press, 2001 p.
109.
[2]
Nel trattato De
iride et de radialibus impressionibus Teodorico fornì una prima spiegazione
scientifica che ancora oggi si ritiene valida in senso fenomenologico del
fenomeno dell’arcobaleno, fenomeno peraltro che aveva già attirato l’attenzione
di studiosi dell’importanza di Robert Grosseteste (Roberto Grossatesta, ca. 1175
– 1253), Roger Bacon e Witelo [Erazmus Ciolek Witelo, noto anche come
Vitellione, (ca. 1230 – post 1280 / ante 1314)]. Il domenicano tedesco diede un’interpretazione
dell’arcobaleno come il risultato della rifrazione della luce nel suo spettro
di colori, nonostante egli non fosse propriamente uno scienziato e in
particolare un fisico sperimentale e, pertanto, non padroneggiasse il metodo
sperimentale e la dimostrazione scientifica del fenomeno fisico nel senso Galileiano
del termine, nondimeno rivelando una capacità nella ricerca svolta con intenti propriamente
scientifici, facendo dello studioso tedesco un naturale interprete degli studi
“nell’ambito della tradizione albertina” [cfr. Elisa Chiti, voce “Teodorico di
Freiberg” in Manuale di Filosofia
Medievale on-line, Università di Siena - Facoltà di lettere e filosofia].
Per quanto riguarda l’opera di Teodorico si veda: Theodericus de Vriberg, Opera omnia, a cura di J.-D. Cavigioli,
R. Imbach, B. Mojsisch, M.R. Pagnoni-Sturlese, R. Rehn, H. Steffan, L.
Sturlese, W.A. Wallace, Voll. I-IV. Hamburg: Meiner, 1994 (Corpus Philosophorum Teutonicorum Medii Aevi II/1-4). Comprende tra
gli altri scritti su: De coloribus, De elementis corporum naturalium, De iride et de radialibus impressionibus,
De luce et eius origine, De miscibilibus in mixto, De tempore. Si veda anche: Giovanni
Battista Venturi, Commentari sopra la
storia e le teorie dell’ottica, I. Bologna: Masi, 1814, p. III: Dell’Iride,
pp. 149-246. Engelbert Krebs, Meister Dietrich (Theodoricus Teutonicus de Vriberg) sein Leben, seine Werke, seine
Wissenschaft in Beiträge zur Geschichte
der Philosophie des Mittelalters Texte u. Untersuchungen, part V. Münster, 1906, pp. 5-6.
[3]
Kamāl al-Dīn Hasan ibn Ali ibn Hasan al-Fārisī o anche
Abu Hasan Muhammad ibn Hasan, matematico originario di Tabriz (Iran) ha dato
importanti contributi scientifici alla teoria dei numeri e alla teoria
matematica della luce, con interessanti spunti sul colore e sul fenomeno dell’arcobaleno
[Cfr. Roshdi Rashed, Biografia di al-Fārisī, in Dictionary of Scientific Biography. New York: American Council of
Learned Societies, Charles Scribner’s Sons, 1970-1990].
[4]
Hüseyin Gazi Topdemir. Kamal Al-Din Al-Farisi’s Explanation
of the Rainbow. Humanity & Social
Sciences Journal, 2 (1), 2007: 75–85.
[5]
Carl Benjamin Boyer. Robert Grosseteste on the Rainbow.
Osiris 11: 247–258, 1954.
[6]
Carl Benjamin Boyer, The rainbow: from myth
to mathematics.
New York: Yoseloff, 1959: 127-129.
[7]
Nathan Sivin. Science in Ancient China: Researches
and Reflections. Brookfield. Vermont: Ashgate Publishing. p. 24, 1995
[8]
John Henry Bridges, The
Opus Majus of Roger Bacon. Vol. I. London: Williams and Norgate, 1900.
Occorre inoltre rilevare come alla fine del XIII secolo il filosofo e fisico
polacco Witelo, riprendendo le ipotesi di Alhazen, aveva affermato che la
deviazione dei raggi luminosi per rifrazione era molto più accentuata quanto
più fosse denso il mezzo attraverso il quale il raggio di luce sarebbe passato.
Il saggio di Witelo, Vitellonis
Thuringopoloni opticæ libri decem, è contenuto nell’Opticæ Thesaurus di Friedrich Risner (1533 – 1580) pubblicato a
Basel nel 1572. Cfr. anche Nader El-Bizri, A Philosophical Perspective on Alhazen’s Optics, Arabic Sciences and Philosophy, Vol. 15, Issue 2 (2005), pp.
189-218, Cambridge University Press.
[9] David C. Lindberg, Roger Bacon’s Theory of the Rainbow: Progress or Regress? Isis,
57, 2 (1966): 235.
[10] Johann
Fleischer, De iridibus doctrina
Aristotelis et Vitellionis. Witebergae: Iohannes Crato, 1571
[11] Francesco
Maurolico. Photismi de lumine et umbra ad
perspectivam, & radiorum incidentiam facientes. Diaphanorum partes, seu
libri tres. Editio princeps. Neapoli: ex typographia Tarquinij Longi, 1611
(gli scritti che compaiono in questo trattato furono composti tra il 1521 e il
1552).
[12] Marco Antonio de Dominis, edito da
Giovanni Bartolo, De radiis visus et
lucis in vitris perspectivis et iride tractatus Marci Antonii de Dominis, Per Ioannem
Bartolum in lucem editus: in quo inter alia ostenditur ratio instrumenti
cuiusdam ad clare videndum, quae sunt valde remota excogitati. Venetiis:
apud Thomam Baglionum, 1611.
[13] Stanley David Gedselman. Did Kepler’s
Supplement to Witelo Inspire
Descartes’ Theory on the Rainbow? Bulletin
American Meteorological Society, Vo. 70, No. 7, July 1989, pp. 750-751.
[14] René Descartes, Discours
de la méthode pour bien conduire sa raison, et chercher la verité dans les
sciences Plus la Dioptrique, les Meteores, et la Geometrie qui sont des essais
de cete Methode.
Leyde: Ian Maire, 1637, p. 250.
[15] La
legge di Snell, nota anche come legge di Descartes o legge di Snell-Descartes
descrive le modalità di rifrazione di un raggio luminoso nella transizione tra
due mezzi con indice di rifrazione diverso tra loro, ed è valida in generale
solo per mezzi isotropi, come il vetro e ha molte affinità con il Principio di
Fermat (Pierre de Fermat, 1601 – 1665) secondo cui «il percorso fra due punti
preso da un raggio di luce è quello che è attraversato nel minor tempo». Una
prima formulazione della Legge di Snell-Descartes si trova in un manoscritto
del matematico arabo Abū Saʿd al-ʿAlāʾ ibn Sahl (X sec.) redatto nel 984, in
seguito probabilmente intuita dall’astronomo e matematico Thomas Harriot (1560
- 1621) nel 1602, che però non pubblicò il suo lavoro, riscoperta da Willebrord
Snell nel 1621, in una forma matematicamente del tutto equivalente, ma rimasta
inedita fino alla sua morte e, infine, ri-edita da Descartes in termini di
funzioni sinusoidali nel suo trattato Discours
de la méthode... del 1637 (Leyde: Ian Maire), che la usò per risolvere
diversi problemi di ottica.
[16] « … Non tutti gli incantesimi volano / Al mero
tocco della fredda filosofia? / C’era un terribile arcobaleno un tempo nei
cieli: / Conosciamo il suo ordito, la sua trama; è riposto / Nel catalogo
ottuso delle cose comuni. / La filosofia taglierà le ali di un Angelo, / Conquisterà
tutti i misteri con leggi e linee, / Svuoterà la spettrale aria, e la miniera
degli gnomi – / Disferà un arcobaleno … » (John Keats, Lamia).
[17] Isaac Newton. Opticks or, a Treatise of the Reflexions, Refractions, Inflexions and
Colours of Light: also Two Treatises of the Species and Magnitude of
Curvilinear Figures.
London: Sam. Smith & Benj. Walford, 1704.
[18] L’arcobaleno, fenomeno ottico
e meteorologico, che produce uno spettro quasi continuo di luce nel cielo
quando un raggio solare attraversa le gocce d’acqua rimaste in sospensione dopo
ad esempio un temporale, a formare un arco multicolore, rosso sull’esterno e
viola sulla parte interna, senza transizioni nette tra un colore e l’altro, è
la conseguenza della dispersione e della rifrazione della luce solare contro le
pareti delle gocce stesse. Quando questo fenomeno si moltiplica in successione
nel cielo attraverso la formazione di diversi deboli arcobaleni nel lato
interno dell’arco primario e, molto raramente, anche all’esterno di quello
secondario, leggermente separati tra loro e formati da fasce di colori pastello
(con lunghezza d’onda leggermente diverse all’interno delle gocce di pioggia), questi
sono ricordati come arcobaleni o archi “soprannumerari”, e la loro esistenza è
complessa da giustificare utilizzando le teorie dell’ottica classica. L’esistenza
di questi fenomeni ha contribuito a sviluppare la teoria ondulatoria della luce
e la prima spiegazione scientifica fu fornita da Thomas Young nel 1804.
[19] Edme Mariotte. Essais de Physique, ou Mémoires pour servir à la connoissances des
choses naturelles. Paris: Michallet, 1679-81.
[20] Thomas
Young. The Bakerian Lecture: On the Theory of Light and Colours. Philosophical Transactions of the Royal
Society of London, 92, pp. 12–48, 1802.
[21] John Brand. Lines of light: the sources of dispersive spectroscopy, 1800-1930. CRC Press: 30–32, 1995.
[22] H. M. Nussenzveig, The theory of the
rainbow, H. M., Sci. Am. 236, 116-127
(1977).
[23] V. Khare and H. M. Nussenzveig.
Theory of the rainbow. Phys. Rev. Letters,
33 (16): 976-980, 1974.
[24] Brent Berlin e Paul Kay, Basic Color Terms: Their Universality and
Evolution. Berkeley: University of California Press, 1969.
[25] «Ex quo clarissime apparet, lumina variorum colorum varia
esset refrangibilitate : idque eo ordine, ut color ruber omnium minime
refrangibilis sit, reliqui autem colores, aureus, flavus, viridis, cæruleus,
indicus, violaceus, gradatim & ex ordine magis magisque refrangibiles». Isaac Newton, Optice: Sive de Reflexionibus,
Refractionibus, Inflexionibus & Coloribus Lucis. Libri Tres,
Propositio II, Experimentum VII. Lausannae & Genevae: Marci-Michaelis
Bousquet, 1740.
[26] Isaac Asimov. Eyes on the Universe: A History of the Telescope. Boston: H.
Mifflin, 1975, p. 59.
[27] John Gage. Color and Meaning. Art, Science and Symbolism. Berkeley: Univ. of California,
1994; 140.
[28] Giambattista
Venturi, Commentarî sopra la storia delle
teorie dell’ottica. Bologna: Masi, 1814. Éleuthère Mascart, Traité d’Optique. 3 voll. Paris:
Gauthier-Villars, 1894. Marcel G. J. Minnaert, Lynch, David K. e Livingston,
William, The Nature of Light and Color in
the Open Air. New York: Dover Publications, 1973. H. Moyses Nussenzveig, L’arcobaleno,
Le Scienze, Agosto 1977, pp. 88-101. Robert
Greenler, Rainbows, Halos, and Glories.
Cambridge University Press, 1980. Carl B. Boyer, The Rainbow, From
Myth to Mathematics. Princeton University Press, 1987. Michel Blay, Les figures de l’arc-en-ciel. Paris: Ed.
Carré, 1995. David K. Lynch e William Livingston. Color and Light in Nature, 2nd edition. Cambridge: University
Press, 2001. Raymond L. Lee e
Alastair B. Fraser, The Rainbow Bridge:
Rainbows in Art, Myth and Science. New York: Pennsylvania State University
Press and SPIE Press, 2001. Bernard Maitte, Histoire
de l’arc-en-ciel. Paris: Seuil, 2005. Bernard Maitte. Storia dell’arcobaleno. Luce e visione, tra scienza e simboli.
Roma: Donzelli, 2006.
[29] Johann
Wolfgang von Goethe. Zur Farbenlehre. Tubinga: J.G. Cotta’schen
Buchhandlung, 1810.
[30] Per
maggiori approfondimenti sulla polemica Goethe-Newton sul colore vedi: Massimo
Corradi. La teoria dei colori di Johann Wolfgang von Goethe. In Colore e colorimetria. Contributi
multidisciplinari Vol. XA, a cura di Rossi Maurizio, Marchiafava Veronica,
pp. 401-712. S. Arcangelo di Romagna (RN): Maggioli Editore, 2014.
[31] “Un
arcobaleno che sta lì un quarto d’ora non si vede più” (J.W. Goethe, Maximen
und Reflexionen).
[32] Alfred
Ainger. Charles Lamb. Cambridge
University Press, 2011, p. 86.
[33] «
Newton’s health, and confusion to mathematics », A.
Ainger. Idem.