L’Art de jetter les bombes, ovvero la scienza balistica e le teorie sulle fortificazioni nei secoli XVI-XVIII.
1Massimo Corradi
1Dipartimento di Scienze per l’Architettura, Scuola Politecnica - Genova, corradi@arch.unige.it
1. Introduzione.
Come è noto da una letteratura oramai consolidata,
l’Arte della guerra ha attraversato le epoche storiche adeguandosi via via
all’evoluzione della tecnica e della tecnologia degli armamenti, della tattica
e della strategia militare, grazie ad una particolare “passione” dell’uomo a
prevaricare i suoi simili. Gli opliti spartani, l’esercito romano, i grandi
condottieri italiani e le compagnie di ventura, Federico il Grande, Napoleone,
e così via, hanno, di volta in volta, rivoluzionato i canoni e i principi
dell’arte militare, con una continua evoluzione che, in campo militare, è
denominata “progresso”, di fatto inarrestabile ancora ai giorni nostri.
Contestualmente, in Architettura, la volontà di
fortificare città e paesi, castelli e piazzeforti, creare opere difensive e
offensive (il vallo di Adriano, la Muraglia cinese, la “linea Maginot”, per
citarne solo alcune tra le più famose) ha indotto illustri personaggi a partire
dai trattatisti quattrocenteschi e cinquecenteschi, fino addirittura a Galileo,
e altri illustri scienziati e artisti, a mettere a disposizione le loro
capacità speculative per comporre Trattati di fortificazione fino a quando il
Marchese di Vauban ha introdotto i “canoni” di questa nuova scienza che hanno
“gettato” un’ombra sul passato e aperto un nuovo sentiero di ricerca in questa
particolare disciplina.
L’Arte della guerra ha visto sviluppare numerose
connessioni con altre discipline, oltre all’Arte e alla Scienza del costruire. Più
propriamente all’interno di questa arte si è cimentata la balistica, la
geometria, l’algebra e la trigonometria. L’architettura ha dato sfoggio della
sua versatilità in ogni campo della costruzione e anche in campo strettamente
meccanico, dove la resistenza dei materiali è stata per anni sovrana, con
riguardo ai problemi legati all’urto delle boules des canons e del tiro a ricochet. Una architettura tecnica più povera, o perlomeno di
secondo piano, che ha saputo superare l’empiria divagante e tramutarsi in
scienza della fortificazione.
Scopo della presente nota è ripercorre, in quel
lasso di tempo che va dal XVI secolo al XVIII secolo, gli sviluppi, i passaggi,
le interferenze fra arte, scienze empiriche, geometria, architettura, in un tourbillon di studi e ricerche che,
seppur svolti in ambiti e settori disciplinari lontani fra loro, hanno un
denominatore comune nella più generale scienza applicata all’architettura delle
fortificazioni e dei sistemi difensivi.
Blondel, Nicolas-François. L’art de jetter les bombes. À Paris: Chez l’auteur. Et se vend À Amsterdam, chez Pierre Mortier, 1699.
2. L'Art de jetter les bombes ovvero la scienza
balistica.
La balistica esterna è uno dei temi che più ha
affascinato gli studiosi del Settecento, perché legata alla scienza del moto e
soprattutto al problema del movimento di un corpo attraverso un mezzo
resistente. Le sue origini risalgono alla metà del Cinquecento, contestualmente
all'impiego delle armi da fuoco nell'Arte della guerra. Dei problemi della
balistica esterna si sono, infatti, occupati i maggiori matematici e fisici a
partire da Niccolò Tartaglia (1499 - 1557) per arrivare a Galileo Galilei (1564
– 1642), Isaac Newton (1642 – 1727), e molti altri ancora, durante un lungo
periodo di ricerca durato più di quattro secoli.
Nel 1537 Tartaglia [Tartaglia 1546] afferma, per
primo, che la traiettoria percorsa da un proietto nell'aria non può essere in
alcuna sua parte perfettamente rettilinea, che l'angolo di massima gittata non
può superare i 45° e che, inoltre, con angoli complementari si ottengono gittate
uguali. Un secolo dopo Galileo, facendo astrazione della resistenza dell'aria,
concepisce il moto del proietto come risultante di due movimenti, uno
rettilineo e uniforme e l'altro verticale con intensità variabile secondo una
legge uniforme e ne deduce che in siffatta situazione la traiettoria è una
parabola. Successivamente, la teoria del moto dei proietti dello scienziato
pisano fu rivisitata da Evangelista Torricelli (1608 – 1647) [Torricelli 1644],
perfezionata da Guido Grandi (1671 - 1742) [Grandi 1739] e integrata dagli
studi di Paolo Frisi (1728 – 1784) [Frisi 1783].
Verso la fine del secolo XVII compaiono due testi
fondamentali per lo studio della scienza balistica sia dal punto di vista
meccanico che da quello più propriamente sperimentale o, come si diceva allora,
dell' “artigliere pratico”. Nel 1674 Robert Anderson (1668 - 1696) pubblica a
Londra The Genuine Use and Effect of the
Gunner, trattato che diventerà in breve un importante punto di riferimento
per tutti coloro che si occupano di balistica esterna. Alcuni anni dopo (1683)
Françoise Blondel (1618 - 1686) pubblica a Parigi il suo trattato su L'Art de jetter les bombes. Questi due
testi si pongono a fondamento di una nuova arte e di una nuova scienza: la
scienza balistica. Questa disciplina, fondata sugli studi condotti da Galileo,
Torricelli e Marin Mersenne (1588 – 1648), introdurrà sensibili modificazioni
nella pratica d'artiglieria insegnata nelle scuole militari. In ambedue i
trattati citati, tuttavia, il problema meccanico non è ancora completamente
chiarito; infatti, gli Autori non tengono sufficientemente conto dell'effetto
della resistenza dell'aria nel moto dei proiettili, problema peraltro già
sollevato da James Gregory (1638 - 1675) nel 1672 [Gregory 1672].
L'ipotesi di Gregory era la seguente: al fine di
mettere in conto la resistenza dell'aria, è necessario assumere l'ipotesi che
il moto del proiettile debba essere composto d'un movimento verticale
uniformemente accelerato e d'un movimento uniformemente ritardato secondo, la
linea di proiezione. L'ipotesi di Gregory diede luogo a una querelle che vide
coinvolti, oltre allo stesso Gregory, Robert Anderson, John Collins (1652 -
1683), John Wallis (1616 - 1703) e Isaac Newton. In sintesi: Collins era
dell'avviso che la parabola proposta da Anderson era senza alcun valore di
carattere pratico per gli artiglieri e che la soluzione di Gregory non gli
sembrava ben fondata dal punto di vista matematico. Newton [1674] sottolineò che
il libro di Anderson, ancorché molto ingegnoso nella formulazione dei principi
ivi esposti, sarebbe stato di grande utilità se tutti i suoi princìpi fossero
stati dimostrati veri, mettendo dunque in dubbio l'ipotesi di moto parabolico
nel caso in cui si tiene conto della resistenza dell'aria. Wallis [1687] mise
in luce invece la necessità di prendere in esame il caso in cui la resistenza
del mezzo è proporzionale alla velocità. Ancora Newton (nel 1684 nel De Motu e successivamente, nel 1687, nei
Principia) ritornò sull'argomento del
moto dei proiettili attraverso un mezzo resistente analizzando i due casi in
cui rispettivamente la resistenza è supposta proporzionale alla velocità del
proiettile nel caso di un moto rettilineo uniforme, o al quadrato della
velocità nel caso di moto ascendente e discendente. Occorre sottolineare che lo
stesso Newton affermò successivamente che l'ipotesi secondo cui la resistenza
del corpo è in ragione della velocità dello stesso è un'ipotesi più matematica
che conforme alla natura dei fatti - riportando agli onori della scienza gli
studi condotti nel 1690 da Robert Hooke [Hooke 1935] e quelli svolti per conto
dell'Académie Royale des Sciences di
Parigi negli anni 1668-69. In sintesi il lavoro di Newton si può riassumere nel
seguente modo. Il problema del moto in un mezzo resistente mette in campo una
relazione che caratterizza la variazione della velocità e si snoda secondo il
seguente cammino: a) il riconoscimento di certe correlazioni tra gli enti in
gioco suscettibili di essere trattate per via geometrica; b) l'ipotesi di
assimilare il moto di un corpo come successione di piccoli movimenti uniformi.
In questa prospettiva, la conclusione di Newton è la seguente: la soluzione di
ciascun problema può essere conseguita passo dopo passo fintantoché - come
osserverà Pierre Varignon (1654 - 1722) - sarà possibile una traduzione del
problema in termini geometrici. Si deve quindi a Newton se il problema è stato
affrontato con perizia e rigore, e risolto analiticamente nel caso in cui la
resistenza del mezzo è proporzionale alla velocità. Tuttavia, solo
l'introduzione del calcolo differenziale e integrale - e a fortiori una
concettualizzazione differenziale della scienza del moto - permetterà di
pervenire alle equazioni generali del movimento e finalmente di risolvere attraverso
procedimenti e algoritmi ben definiti di differenziazione e integrazione i
problemi del moto di un corpo in un mezzo resistente.
La strada era dunque tracciata: si trattava solo di
consolidare il cammino. Nel 1689 Leibniz pubblica negli Acta Eruditorum un
breve saggio sul moto dei proietti, che conferma in sostanza i risultati di
Newton pubblicati nei Principia del
1687 e in parte quelli di Huygens del 1690. Le soluzioni esposte da Gottfried
Wilhelm Leibniz (1646 – 1716), e relative al problema del moto dei proiettili
attraverso un mezzo resistente, si fondano tutte sul seguente “principio
generale”: tale principio stabilisce che gli spazi percorsi (ds) sono in ragione composta delle
velocità (v) e dei tempi (dt) o meglio “dp ut vdt”, come egli ebbe ragione di scrivere.
Circa dieci anni dopo, precisamente nel 1698,
Varignon introduce il concetto di velocità istantanea, peraltro già intuito da
Newton e Leibniz, e successivamente quello di forza acceleratrice istantanea.
Varignon, come già avevano fatto Galileo e Newton, elabora la sua scienza del
moto sulla base di una definizione non esplicita ma operante di velocità
istantanea. L'importanza della sua impostazione metodologica consiste
nell'elaborazione di un algoritmo che consente di ridurre le questioni relative
al moto a pure questioni di calcolo.
Al debutto del secolo successivo, negli anni che
intercorrono tra il 1707 e il 1711, Varignon pubblica nei Mémoires de l'Académie Royale des Sciences ben dodici memorie
relative al moto di un proiettile attraverso un mezzo resistente. Sulla base
del nuovo calcolo leibniziano, lo scienziato francese riorganizza e generalizza
i risultati precedentemente ottenuti da Newton, Christiaan Huygens (1629 –
1695), Leibniz e Wallis. Egli introduce le importanti definizioni di
“resistenza istantanea” (la resistenza che un mezzo, attraverso il quale un
corpo si muove, fa da ostacolo in ciascun istante e che deve essere
proporzionale alla diminuzione di velocità del medesimo nello stesso tempo) e di
“velocità istantanea”; stabilisce la legge generale che caratterizza il moto
secondo traiettorie rettilinee attraverso un mezzo resistente nella forma
d2x/dx2 = du/dt = -kF(u)+f(t)
dove F(u) rappresenta la forza esercitata dal
mezzo in funzione della velocità (u),
f(t)
è l'accelerazione all'istante iniziale e
k un coefficiente balistico. In
questo modo Varignon è in grado di risolvere numerosi problemi: quando la
resistenza del mezzo è proporzionale alla velocità, o al quadrato della
velocità, o addirittura a una potenza qualunque della velocità; e ancora, alla
somma della velocità con il suo quadrato, al moto verticale, alla traiettoria
descritta da un mobile dotato di peso proprio lanciato obliquamente in un mezzo
dove la resistenza è proporzionale alla velocità (balistica curvilinea).
Occorre comunque aspettare solo alcuni anni per
vedere risolto il problema dell'integrazione delle equazioni del moto di un
proietto.
Nel 1719 Johann Bernoulli (1667 – 1748) riesce a
integrare le equazioni del moto del proietto nel caso di resistenza
proporzionale ad una potenza qualsiasi della velocità e risolve il problema -
posto da Newton nei Principia (Libro
II, Prop. X) - di trovare la curva che un proiettile descrive nell'aria
nell'ipotesi di gravità e densità costante, e dove la resistenza offerta
dall'aria è in ragione quadrata della velocità. Nicolaus Bernoulli (1687 –
1759), nipote di Johann, aveva già risolto un problema simile, dove la
dipendenza tra resistenza e velocità è in ragione della potenza di 2n (soluzione a cui giunge Johann nel
caso in cui n=1). L'analisi di Johann
Bernoulli è findativa e ricca di prospettive future in ragione dell'impiego
molto abile della composizione delle accelerazioni secondo le direzioni
tangente e normale alla traiettoria.
Alle ricerche di Johann Bernoulli e Newton si
ricollegano negli anni seguenti quelle di Leonhard Euler (1707 – 1783), Jean-Baptiste
Le Rond d'Alembert (1717 – 1783) e, in seguito, del generale prussiano J. C. F.
Otto [Otto 1857]. In particolare Johann Bernoulli e d'Alembert trovano la
soluzione dell'equazione del moto di un punto materiale attraverso un mezzo
resistente per alcuni casi particolari.
Nel contesto delle scienze legate all'artiglieria,
e dunque agli impieghi militari della balistica, il Settecento è stato un
secolo ricco di manuali il cui scopo era, oltre che fondare e sviluppare una
disciplina peraltro estremamente necessaria per l'Arte della guerra, mettere
anche in condizione gli ufficiali di artiglieria di avere a disposizione utili
strumenti di informazione per migliorare l'impiego dell'artiglieria nelle
battaglie che in quel secolo si susseguirono con una certa frequenza.
Questi studi daranno il via ad una consistente
pubblicistica tecnica che vedrà alle stampe numerosi volumi esplicativi
dell'uso di tavole balistiche per il tiro d'artiglieria. In ambito italiano
ricordiamo le opere di Andrea Musalo (1666 – 1721) [Musalo 1702], Giovanni
Maria Gilmotti [Gilmotti 1713], Gaetano Marzagaglia (1716 – 1787) [Marzagaglia 1748].
Molta attenzione fu dedicata all'istruzione dei giovani ufficiali d'artiglieria
nell'uso delle armi da fuoco in generale e dell'artiglieria, con particolare
attenzione anche ai principi della balistica che vide tra i maggiori
divulgatori di questa disciplina ricordiamo Alessandro Vittorio D'Antoni
Papacino [D'Antoni Papacino 1775, 1780 e 1782], le cui opere ebbero diffusione
anche nei paesi di lingua inglese e francese.
Nel 1731 compare il trattato di Bernard Forest de
Bélidor (1698 – 1761) dal curioso titolo Le bombardier françois ou nouvelle methode de jetter les
bombes avec precision, manuale ad uso degli artiglieri con alcuni cenni di
balistica, superato solo verso la fine del secolo dall'importante manuale compilato
da Jean-Louis Lombard (1723 - 1794) [Lombard 1787], quest'ultimo sicuramente
dedicato agli ufficiali che si occupano del tiro d'artiglieria e, pertanto,
arricchito da numerose tabelle di pratico impiego. Lo stesso Lombard
pubblicherà dieci anni dopo un interessante volume sul moto dei proiettili che
vedrà ampia diffusione nelle scuole di artiglieria [Lombard 1797].
Nel 1741 avviene una scoperta importante,
l'invenzione del “pendolo balistico” che consente di determinare
sperimentalmente la velocità iniziale di un proietto lanciato da una bocca da
fuoco. Alcuni anni dopo, esattamente nel 1767, Gregorio Casali (1721 - 1802)
pubblica un articolo in cui afferma di avere inventato una macchina in grado di
dimostrare sperimentalmente i teoremi di Galileo e di Willem Jacob's Gravesande
(1688 – 1742) sulla teoria del moto dei proietti [Casali 1767], ma solo
trent'anni dopo (1771) Anton-Maria Lorgna (1735 – 1796) pubblica una “tavoletta
balistica” che avrà una grande impiego, soprattutto in Germania grazie anche
alla sua pubblicazione nel “Magazin für Ingenieur”.
Verso la fine del secolo, precisamente nel 1782,
scende in campo anche Adrien-Marie Legendre (1752 - 1833) concorrendo con una
memoria a un premio messo in palio dall'Accademia di Prussia in cui tratta
della traiettoria dei proiettili attraverso i mezzi resistenti [Legendre,
1782]. In questa importante memoria Legendre definisce l'equazione corretta
della traiettoria di un proiettile.
L'anno successivo compare a Digione la traduzione
del testo di Benjamin Robins (1707 - 1751) sui princìpi di Artiglieria,
tradotto dal tedesco con note e commenti di Euler [Robins, 1783]; testo
fondamentale che avrà un grande successo nelle scuole di artiglieria europee.
Successivamente, nel 1789, Louis Lagrange pubblica nel “Journal
de l'école polytechnique” le formule relative al moto dei proiettili all'interno
delle canne dei cannoni e apre, di fatto, gli studi sulla balistica interna, al
cui sviluppo contribuirà in misura maggiore la pratica sperimentale,
sviluppando sia il tema della pirostatica, che studia la combustione della
polvere da sparo a volume costante, sia quello della pirodinamica, che studia
invece quello della combustione della polvere da sparo a volume variabile entro
la bocca da fuoco.
Saranno infine gli studi intrapresi all'inizio del
secolo XIX da Charles Hutton (1737 - 1823) [Hutton, 1782] ad anticipare i temi
che saranno sviluppati dalla scienza balistica nel secolo XIX. Hutton affronta
il problema della forza impressa ai proietti, della gittata dei cannoni in
funzione dell'elevazione del tiro, della resistenza che l'aria oppone al moto
dei proiettili, degli effetti prodotti dalla lunghezza della canna del cannone
sul tiro d'artiglieria e dell'influenza che esercita la carica delle polveri
nell'imporre un'adeguata accelerazione al proietto e aumentarne così potenza e
gittata.
Si dovrà tuttavia aspettare la metà del secolo XIX,
quando nel 1855 Paolo Ballada di Saint Robert (1815 - 1888) - ufficiale
piemontese che ideò i proietti lenticolari e i cannoni ad anima curva -
pubblicherà un interessante trattato dal titolo Del moto di proietti nei mezzi resistenti, per giungere ad una
forma semplice delle equazioni differenziali del moto e pervenire ad
un'esplicita formulazione delle proprietà della traiettoria dei proiettili;
infine, in questo secolo grazie agli studi di Mauro Picone (1885 - 1977),
Antonio Signorini (1888 - 1963) e soprattutto Angelo Francesco Siacci (1839 - 1907)
si giungerà ad una soluzione semplice e di pratico impiego dei problemi
connessi alla balistica esterna, ricondotti all'uso di una tavola di tiro di
semplice uso che prende il nome di «Tavola balistica generale».
3. La teoria delle fortificazioni nei secoli XVI-XVIII
L’avvento delle armi da fuoco e le nuove ricerche
sulla balistica e sul tiro dei cannoni avviano una profonda rivoluzione
sull’arte delle fortificazioni. Nell’arco di un solo secolo l’architettura
militare e fortificata cambia paradigma: non più grandi castelli inespugnabili
all’attacco degli assalitori, ma nuove fortificazioni in grado di resistere al
tiro dell’artiglieria che in pochi decenni si evolvono rapidamente. Le mura
delle città diventano sistemi coordinati di fortificazione per mezzo di
rilevati e ridotte, murature basse e ‘sfuggenti’ in grado di resistere al colpo
di cannone che assume traiettorie sempre più radenti e maggiore potenza grazie
allo sviluppo degli esplosivi. Ma si studiano anche sistemi fortificati che
consentano di colpire il nemico secondo angoli di tiro favorevoli al fuoco
incrociato.
Nasce una nuova scienza: l’arte di fortificare
città e piazzeforti. Questa nuova scienza incide fortemente sull’urbanistica
delle città, introducendo sistemi fortificati che possano difendere i centri
urbani dall’assalto di eserciti moderni dove l’arma da fuoco è diventata lo
strumento principe della guerra. E all’interno o a protezione delle città, le
cittadelle fortificate assumono sempre più maggiore rilevanza ergendosi a
baluardo difensivo della popolazione, del ducato, del principato o del regno.
Si assiste così, in un breve volgere di un solo secolo, a un rinnovamento
urbano che coinvolge architetti e ingegneri, matematici e uomini d’arme nel
progetto e nella costruzione di nuovi sistemi difensivi e cittadelle
fortificate che si devono ergere a baluardo e difesa del ‘principe’. Architetti
famosi come Girolamo Cataneo (seconda metà del XVI sec.), Vicenzo Scamozzi
(1548 - 1616), Françoise Blondel (1618 - 1686); Alessandro Capra (sec. XVII) e
Ingegneri militari del valore di Bonaiuto Lorini (1540 - 1611), Pietro Sardi
(sec. XVII), matematici come Niccolò Tartaglia, Giovanni Scala (fine XVI, inizi
XVII sec.), si cimentano nel disegno, nel progetto e nella realizzazione di
nuovi sistemi fortificati, siano esse mura a protezione delle città o fortilizi
a difesa di passi alpini, o fortificazioni in punti nevralgici di passaggio
delle armate che durante numerose guerre mettono a ferro e fuoco l’Europa
(Guerre Franco-Spagnole, 1521-1559; Guerra dei Trent’anni, 1618-1648; Guerra di
Successione Spagnola, 1701-1714; Guerra di Successione Austriaca, 1740-1748;
Guerra dei Sette Anni, 1756-1763).
Le principali modifiche apportate alle opere di
difesa e di fortificazione furono molteplici: si abbassarono le mura e più
ancora le torri, riducendo queste alla stessa altezza di quelle, per presentare
minore bersaglio ai tiri dell’artiglieria. Furono sacrificate le merlature, le
caditoie o piombatoie, le guardiole sporgenti, le coperture delle piattaforme e
dei terrazzi. Per proteggere meglio il piede delle mura si realizzarono fossati
larghi e profondi perché non fosse facilmente colmato dalle rovine delle mura
battute in breccia; fu costruito un muro di scarpa del terrapieno verso la
città e anche uno di controscarpa verso la campagna.
In questi anni si sviluppa la meccanica delle terre
come conseguenza del problema della costruzione di rilevati e rinterri. Come è
avvenuto in altri settori della meccanica, lo studio del comportamento dei
terreni, la teoria della spinta delle terre e il calcolo dei muri di sostegno si
è sviluppato a partire dalla metà del XVIII secolo, in seguito specifiche esigenze
dettate dalla tecnica delle costruzioni, con particolare riguardo alle opere di
difesa e di fortificazione, e al progetti di ponti e strade. Le ricerche svolte
su questi argomenti sono state pubblicate negli Atti delle Accademie più
prestigiose d’Europe, e divulgati nei trattati di architettura civile [Borra
1748] e militare [Coheorn 1741; Stahlswerd 1755; Petersen 1788; D’Antoni
Papacino 1773-74, 1778-82; Trincano 1786]. In effetti, non c'è motivo di essere
sorpresi quando si scopre che le prime riflessioni sulla teoria della spinta
delle terre si trovi proprio negli scritti degli Ingegneri dell'École d'Artillerie et du Génie, dell'École des Ponts et Chaussées, e dell'École Polytechnique, alle quali deve
essere riconosciuto il merito di aver saputo conciliare all'interno di un unico
problema meccanico, le conoscenze teoriche con le questioni tecniche. La fondazione
di una "meccanica tecnica" relativa allo studio della stabilità dei
terreni fondata su principi logici e matematicamente rigorosi, ipotesi fisiche
indiscutibili circa la natura del suolo, su ipotesi semplificative ragionevoli
per modellare un elemento complesso e variabile come suolo e affrontare un
problema meccanico di difficile soluzione, senza ridurre l'importanza dello
sviluppo di metodi pratici basati sull'uso della geometria - essenziale per la
soluzione di molti problemi sorti nella pratica della costruzione - furono i
temi attorno ai quali si basarono gli studi in questa disciplina fino alla metà
del XIX secolo .
A partire dal Cinquecento i maggiori trattatisti di
architettura si cimentarono nello studio della fortificazione ideale. Mariano
di Iacopo senese, detto il Taccola (1381 - 1458) si occupò della difesa di Roma
per conto di papa Calisto III (1378 - 1458) progettando il primo sistema
bastionato, costituito da baluardi con la terrazza a livello delle piattaforme
laterali di difesa; il saliente era rivolto verso il nemico, e nei fianchi erano
disposte delle batterie basse: La soluzione di Taccola fu imitata alcuni anni
dopo (1461) da Michele Canale (sec. XV) che rivoluzionò le difese di Torino per
conto di Lodovico di Savoia (1413 – 1465). Durante la guerra fra gli Estensi e
i Veneziani negli anni 1482-1484, furono frequentemente impiegati bastioni a
rafforzare le località d'interesse strategico. Antonio Giamberti da Sangallo il
vecchio (1455 – 1534), Giuliano Giamberti da Sangallo (1445 – 1516), Antonio da
Sangallo il giovane (1484 – 1546) sviluppano la fortificazione a bastioni
secondo i principi formulati da Francesco di Giorgio Martini (1439 – 1501) da
Siena nel suo Trattato di architettura
civile e militare. L'ordinamento bastionato, costruito con una successione
di bastioni inframezzati da tratti di mura rettilinee, da un recinto continuo
di bastioni e cortine, e limitato dal fossato, si affermò nella prima metà del
sec. XVI, si diffuse nella seconda metà dello stesso secolo.
Il recinto formato nei primi tempi da un muro che
sosteneva un terrapieno interno fu poi abbassato e sormontato da un terrapieno,
sistemato all'esterno a scarpata sorretta a sua volta dal muro detto di scarpa,
che frequentemente fu tenuto molto basso perché fosse meglio protetto dalla
controscarpa del fosso dai tiri dell’artiglieria. Sovente fu integrato da una
scarpa di terra prolungata fino al fossato e integrato da un muro isolato,
detto ‘muro alla Carnot’, il cui ufficio principale era di ostacolare
l'arrampicata sulla scarpa del terrapieno a chi, nell'attacco, fosse arrivato
nel fossato. Il muro era dotato di feritoie e poteva costituire una linea di
fuoco bassa per contrastare l’avanzata delle fanterie. Si potevano avere cinte
bastionate fornite di fossati asciutti e cinte fornite di fossati acquei, per
impedire l’avanzata delle truppe nemiche.
La geometria del fronte bastionato doveva
rispettare regole precise per impedire che il nemico potesse disporre linee
ravvicinate di tiro e, viceversa, costringere ad attaccare in posizione
sfavorevole alla sua difesa ma sotto il fuoco incrociato dei difensori. A tale
scopo, gli ingegneri militari del Rinascimento individuarono due tipologie di
sistemi di difesa. Il primo prevedeva il ripiegamento degli elementi del
fronte, cioè delle cortine e dei bastioni, come ad esempio il bastione
Ardeatino a Roma, costruito dal Sangallo al tempo di Paolo III (1468 - 1549); il
secondo, l’adozione di opere addizionali interne ed esterne, e, queste, di mano
in mano più numerose e più importanti e più allontanate dal fronte, per seguire
il progresso in gittata e in potenza delle artiglierie. Le più caratteristiche
opere addizionali interne furono il cavaliere, una sopraelevazione fatta o nel
mezzo di una cortina o di un bastione al fine di permettere la vista e il tiro
su punti lontani del terreno esterno, e la caserma difensiva, un fabbricato che
serviva come ricovero di truppe, e nel tempo stesso era organizzato a difesa,
spesso progettato in grado di resistere al tiro di artiglieria. Le caserme
difensive erano elevate o dietro alle cortine o dentro ai bastioni, o alla loro
gola, o alla gola dei rivellini, e servivano anche da ridotto alle parti di
opere che le comprendevano [Corradi 1995].
Al fronte bastionato tipico fu sovente aggiunto nel
fossato e davanti alla cortina un rivellino, che copre la cortina stessa da
offese esterne e serve a battere col fuoco incrociato lo spazio davanti ai
salienti del fronte. Quest'opera fu frequentemente usata nella fortificazione
del Rinascimento. A difendere il bastione, specialmente dai tiri diretti
perpendicolarmente alla fronte, si provvide con il cosiddetto coprifaccia o controguardia (denominato
anche, per la sua forma, a mezzaluna). L'impiego della controguardia fu suggerito
da Francesco De Marchi (1504 - 1576), nel suo trattato di architettura militare
(pubblicato postumo a Brescia nel 1599), da Marcus Aurelius De Pasino (sec. XVI)
[De Pasino 1579] nella seconda metà del 1500 e in seguito ripreso da Blaise-François
Pagan (1604 - 1665) [Pagan 1668]. Un esempio di questo sistema difensivo si
vede ancora oggi nella Cittadella fortificata di Alessandria progettata da
Ignazio Bertola (1676 - 1755) nella prima metà del sec. XVIII e completata e
rafforzata da François de Chasseloup-Laubat (1754 – 1833) al tempo di Napoleone
Bonaparte (1769 - 1821). La piazza d’armi interna alla fortificazione era
altresì difesa da cavalieri interni, rivellini con ridotto, coprifacce e da tanaglie davanti a molte cortine, come proposto da Francesco di
Giorgio Martini col nome di barbacane e successivamente da Francesco Tensini (1579/81
- 1638) [Tensini 1624] che le chiamò barcannone.
La fortificazione bastionata fu ulteriormente protetta dalla mezzaluna o
lunetta, breve coprifaccia messo
davanti al rivellino.
Questi sistemi fortificati di difesa di piazzeforti
o città furono in auge fino a tutto il secolo XVIII, quando, per il
perfezionarsi continuo delle artiglierie e per la maggiore gittata dei
proietti, fu necessario tenere l'attaccante sempre più lontano dal fronte. Si
introdussero così la lunetta avanzata a forma di fortino chiuso con fronte
rettilineo e due fianchi, o fronte a dente più o meno sporgente, con un fronte
a bastione e con due fianchi più o meno lunghi. Tale fortificazione fu detta “a
corno” o “a corona” se aveva due bastioni affiancati oppure mezzo bastione per
parte, “a corona doppia” se i bastioni erano tre completi con due cortine
intermedie. Altre opere avanzate furono costituite da una tanaglia o angolo rientrante con due lunghi fianchi, o da una tanaglia
spezzata con un dente nel mezzo, o da un rivellino con mezza tanaglia spezzata
per lato. Sul finire del Settecento e nella prima metà dell'Ottocento, la
maggior parte di queste opere avanzate era completata o rafforzata da rivellini
con ridotto o anche senza, integrati da controguardie, con i loro fossati,
spalti, strade coperte, ecc. indipendenti dal recinto retrostante principale.
Tale scelta costruttiva fu sensibilmente influenzata dalle teorie sviluppate dagli
ingegneri militari della Scuola di Artiglieria e Genio di Mézières, influenzati
dall'aumento considerevole di potenza e di portata delle bocche da fuoco, e
anche da una maggiore precisione del tiro dei cannoni. I sistemi “stellati”
divennero così patrimonio dell’architettura militare e fortificata. Gabrio Busca
(1540 - 1605) dichiarò che “la figura di
sei lati fa il balovardo perfetto” e individuò una strada seguita negli
anni successivi da molti architetti di fortificazioni. La tendenza ad aumentare
il numero dei lati fu seguita dal Bertola per la Cittadella di Alessandria, a
Palmanova da Lorini con un poligono di nove lati, da Giulio Savorgnan (1510 – 1595)
- ingegnere militare e generale d’artiglieria della Repubblica di Venezia - a
Nicosia (Cipro) con un poligono di undici lati.
Nel contempo mutano le tattiche di attacco e difesa
delle piazzeforti e nasce una letteratura di genere. Gli assedianti attaccano
la piazza assediata al riparo di fossi e di trincee, il cui parapetto era
costituito, per solito, con la terra scavata, le batterie dell’artiglieria sono
disposte sopra un terrazzo artificiale di fronte a una delle cortine della
cinta, con l’intento di battere la piazzaforte e smontare i pezzi di difesa
della cortina e aprire una breccia per le fanterie. Le batterie minori, messe
d'infilata, dovevano integrare il tiro di artiglieria principale per colpire il
saliente dei bastioni. Le trincee che servivano per avvicinare le fanterie ai
sistemi bastionati, per evitare di essere battute d'infilata, seguivano linee
d'avvicinamento con larghi serpeggiamenti e zig-zag che andavano sempre
restringendosi e accorciandosi di mano in mano che si avvicinavano alla
piazzaforte, con trincee a parapetto e a gabbioni riempiti di terra.
Il progressivo perfezionamento delle artiglierie
aumentò i compiti dei sistemi fortificati a protezione degli attaccanti e le
piazzuole per le batterie di bombardamento, le batterie di breccia e le
batterie d'infilata, integrati anche da ridotte, depositi per munizioni, ecc.,
come descritto ad esempio da Pier Paolo Floriani (1584 - 1638) nelle sue opere
sulla fortificazione.
I metodi d'assedio utilizzati a tutto il secolo
XVII furono codificati dagli scrittori militari tra i quali ricordiamo le
teorie sviluppate e applicate dal principe d'Orange e la scienza relativa
all’attacco e alla difesa delle piazzeforti sviluppata da Sébastien Le Prestre
de Vauban, poi marchese di Vauban (1633 – 1707). Le teorie di Vauban ebbero una
vasta eco e una grande diffusione per tutto il sec. XVIII, e quasi tutto il
XIX, influenzando sensibilmente l’arte della guerra e l’architettura militare.
Nella seconda metà del Settecento l'ordinamento
bastionato, caposaldo della fortificazione del periodo precedente, fu fatto
oggetto di serie critiche. La pubblicistica tecnica mise in luce che nessun
proiettile caduto sui bastioni restava senza effetto; era facile colpire i
fianchi dei bastioni col tiro da lontano e che era necessario l'impiego sempre
maggiore di opere addizionali per battere i settori indifesi. Il Marchese
Marc-René de Montalembert (1714 - 1800) nella sua opera sulla Fortification perpendiculaire (1776-93 e
1787) affrontò in modo razionale la risoluzione del problema e propose
tracciati di fortificazioni, fra i quali il sistema poligonale che porta il suo
nome. Queste idee non furono però accolte da tutti gli ingegneri militari e per
molto tempo (fine al principio del XIX) si continuò a modificare i sistemi
tradizionali di fortificazione, moltiplicando le opere addizionali di difesa.
Tuttavia, l’epopea napoleonica mise in luce la debolezza dei sistemi di difesa
basati sulle piazzeforti e, di conseguenza, sull’architettura militare. La
guerra di movimento e la ricerca della battaglia campale, con l’intento di
sconfiggere le armate nemiche, secondo i principi perseguiti da Napoleone
Bonaparte, influirono sensibilmente sull’architettura fortificata che nei primi
anni del XIX secolo subì un rallentamento nel suo sviluppo. Nella seconda metà
del sec. XIX i perfezionamenti conseguiti nella tecnica degli esplosivi e delle
armi da fuoco ebbero profonde ripercussioni anche nella costruzione dei sistemi
difensivi. La rigatura delle armi da fuoco diede alle artiglierie una più lunga
gittata e quindi un maggior campo e potenza d'azione; l'impiego su larga scala
dei tiri curvi (con obici e mortai) e l'impiego di proiettili dotati di
spolette speciali per ritardo di scoppio, diminuì l'azione protettiva dei
parapetti frontali nell'interno delle opere di fortificazione che lentamente
persero la loro funzione principale di sistema di difesa a protezione delle
città. Le fortificazioni mutarono assetto e divennero linee difensive a ridosso
dei confini delle nazioni belligeranti. Esporre anche sommariamente come sia mutata
la scienza e l’arte della fortificazione al principio del XX secolo è compito
arduo e occorre che sia esteso a tutte le nazioni, e alle relative scuole di
artiglieria e genio, che di volta in volta sono state impiegate nelle guerre,
sviluppando opere di difesa importantissime, e talvolta imponenti, seguendo
scuole o criterî diversi da stato a stato. La fortificazione campale sviluppata
durante la guerra russo-turca e quella russo-giapponese agli inizi del secolo,
la guerra di trincea vissuta durante la Prima Guerra Mondiale (1914-18), le grandi
opere come la linea Sigfrido (creata nel 1916-17) e la linea Maginot - complesso
integrato di fortificazioni, opere militari, ostacoli anti-carro, postazioni di
mitragliatrici, sistemi di inondazione difensivi, caserme e depositi di
munizioni realizzati dal 1928 al 1940 - allestite a difesa rispettivamente di
Francia e Germania in previsione della Prima e della Seconda Guerra Mondiale, sono
solo un sommario esempio delle nuove linee di pensiero in materia di
fortificazione militare; per questo rimandiamo il lettore interessato a gli
studi di storia militare che trattano il periodo citato.
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Ottimo articolo, preciso e ricco, i miei complimenti!
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