Built by the hands of Giants / For Godlike kings of old |
Il colore dell’architettura di terra: Shibam.
1Massimo Corradi
1Dipartimento di Scienze per l’Architettura,
Scuola Politecnica - Genova, corradi@arch.unige.it
‘O sublime città di Shibam, tu sei la città di Hadramawt.’
1. Introduzione
Shibam o Shibām (il nome deriva dal Re Shibam ibn al-Ḥārith bin
Hadhramout bin Saba Al-Asghar, discendente della famiglia della regina di Saba),
città dello Yemen nel Governatorato di Hadramawt risalente al III secolo a.C.,
sita nel deserto Ramlat al-Sab`atayn – la “terra senza ombre” [1] - lungo la
strada che conduce alla capitale yemenita Sana’a (Ṣan‘ā’), crocevia di importanti carovaniere sulla via dell’incenso
e delle spezie attraverso l’altopiano arabo meridionale, è famosa per le sue
case-torri costruite in adobe (mattoni
di terra-fango). Le sue case-torri che si sviluppano in altezza anche per 9
piani si innalzano fino a circa 36 metri di altezza fuori dal letto del Wadi
Hadhramaut (Wādī ḥaḍramawt) e per
questa ragione la città è ricordata anche come la ‘Manhattan del deserto’ -
termine coniato dall’esploratrice inglese Freya Stark (1893 – 1993) che scrisse
« Built by the hands of Giants / For Godlike kings of old » [2] -. Alcuni edifici hanno il primato di essere tra i
più alti edifici del mondo costruiti in terra, anche se forse il primato in
senso assoluto appartiene al minareto della moschea di Al-Mihdhar (moschea Al-Muhdar,
costruita nel 1914) nella vicina città di Tarīm, alto circa 53 metri. Shibam
rappresenta uno degli esempi più antichi e meglio conservati di uso del
territorio e pianificazione urbana a sviluppo verticale; la città è circondata
da mura continue, omogenea per tipologia architettonica, sistemi e tecnologie
costruttive, essa dispone di un sistema di smaltimento delle acque reflue molto
avanzato, ma – soprattutto – è interessante per il cromatismo delle sue
facciate, il colore delle sue architetture che richiamano il colore della terra
di ḥaḍramawt. Le sue costruzioni,
forse di matrice più antica, risalgono probabilmente al XVI secolo e sono state
più volte restaurate e talvolta ricostruite, mantenendo tuttavia inalterate
forme, funzioni, struttura e uso dei materiali [3]. Costruita su uno sperone
roccioso elevato rispetto al letto del Wadi Hadhramaut è comunque sita in un’area
esondabile e le fondamenta delle sue architetture risentono delle periodiche
esondazioni in parte naturali in parte artificiali (legate al sistema di
gestione dell’inondazione agricola per la coltivazione delle terre nel wadi), nondimeno resistono nei secoli
grazie al continuo e costante lavoro di manutenzione che prevede comunque il periodico
rifacimento di intonaci e rivestimenti. Oggi, l’introduzione delle tecniche di approvvigionamento
idrico moderno combinato a un drenaggio insufficiente delle terre, nonché le
variazioni economiche legate all’abbandono dell’agricoltura in parte a favore
dell’allevamento e dell’emigrazione, hanno contribuito al degrado della città,
anche se il paesaggio circostante delle terre irrigate costituisce un sistema
economico integrato tra agricoltura e allevamento, tra uso del territorio e
delle risorse locali, soprattutto la terra, il fango e il limo per l’edilizia.
L’urbanistica di Shibam formata da case torri, spesso
contigue tra loro, all’interno della cinta muraria difensiva della città, quasi
senza finestrature a livello del suolo, ha rappresentato per secoli la risposta
urbana alle necessità di rifugio e protezione delle popolazioni locali dalle famiglie
e dalle tribù vicine; si tratta di una testimonianza eccezionale della forte
concorrenza esistente tra le famiglie rivali di questa regione, così come ogni
edificio era una rappresentazione del prestigio economico e politico della
famiglia proprietaria, di tipo patriarcale tutta riunita sotto lo stesso tetto,
e rappresenta uno splendido, ma veramente vulnerabile espressione della cultura
tradizionale araba e musulmana. Essa rappresenta l’esempio più compiuto dell’architettura
tradizionale urbana Hadrami o Hadharem [4].
Fig. 1 – Lo skyline di Shibam, un unicum
nel panorama della costruzione in terra.
2. Architettura di terra
L’Architettura di Shibam è architettura di terra. Oltre 500
costruzioni e cinque moschee appartengono al tessuto edilizio della città che
ha una popolazione di circa 7.000 abitanti. Il sistema costruttivo utilizzato
in tutte le costruzioni è detto mudbrick,
ed è costituito da una muratura di mattoni, formati da una miscela di argilla,
fango, sabbia e acqua mescolata con fibre naturali locali (paglia e fieno); il
mattone così realizzato prende il nome anche di adobe. In molte fabbriche non è raro trovare mattoni di argilla più
pura di quella usualmente utilizzata nell’adobe.
I mattoni, essiccati al sole, sono messi in opera con uno strato di malta di
terra e rivestiti con un intonaco di terra-calce che dà protezione dall’acqua e
ne fornisce la finitura esterna, visiva e colorata, e serve anche per le
decorazioni e le finiture artistiche degli edifici. La tecnica costruttiva
impiegata per le strutture verticali, associata al legno per quelle
orizzontali, non consente di realizzare edifici di grandi dimensioni in pianta,
ma ha comunque permesso di elevare le costruzioni ad altezze per noi oggi
impensabili per una costruzione in terra.
L’unità di misura della costruzione è la ‘dhira’ (dhirā‘), che approssimativamente vale 45,8 centimetri (originariamente
era la misura del braccio dal gomito fino alla punta del dito medio, corrispondente
alla misura del cubito, e allo stesso tempo è il nome dato allo strumento di
misura stesso) [5]. Tutte le parti dell’edificio sono geometricamente stabilite
come frazioni o multipli della dhira.
Gli edifici realizzati con questi mattoni di fango hanno le pareti
spesse anche un metro e mezzo, e le murature sono a sezione rastremata verso
alto. La massa muraria delle pareti è ideale per mantenere l’interno dell’edificio
fresco; le aperture delle finestre, infatti, sono piccole e disegnate per evitare
la luce solare diretta, e dispensano una luce tenue diffusa con giochi di
chiari e scuri, luci e ombre, con infissi di legno ornati da grate che offrono
ombra e riservatezza, e disegnano sui pavimenti decori in un’alternanza di
chiari e di scuri. Gli edifici più alti hanno anche un camino adiacente alla
scala principale che serve per indirizzare l’aria più fresca proveniente dal
suolo ai piani alti dell’edificio.
La disposizione degli edifici, che formano vicoli stretti e
piazze poco estese, favorisce l’ombra nelle viuzze e un microclima favorevole
all’uomo, anche per il basso tasso di umidità della regione nella stagione
secca.
Fig. 2 – Planimetria del centro
storico di Shibam all’interno della cinta muraria.
La terra per i mattoni di fango proviene dal wadi e si preleva quando è ancora satura
d’acqua dopo la stagione delle piogge. Shibam e il Wadi Hadhramaut sono in una
zona dal clima arido; il sud dello Yemen e la costa sono infatti soggetti a
piogge stagionali e torrenziali durante il periodo dei monsoni sub-continentali.
Il fango è mescolato con paglia tritata e acqua e poi messo in semplici stampi
di legno a terra e fatto essiccare al sole; ciascuno stampo serve per formare
due blocchi. Test sperimentali hanno mostrato che il materiale dei mattoni è un
impasto di ottima qualità, insolitamente elevato nel suo contenuto di legante,
l’argilla che è pari a circa il 10 per cento del volume di terra. I mattoni
sono grandi, circa 45 centimetri di lunghezza per 30 cm di larghezza e poco
spessi sull’ordine dei 10 centimetri al massimo, e possono variare di
dimensioni in funzione dello spessore della muratura che diminuisce dai piani
più bassi rispetto a quelli più alti. Le murature hanno quindi spessore
variabile, in genere da 75 a 100 centimetri, ma alla base degli edifici più
antichi si possono trovare murature spesse anche 150 centimetri.
Le dimensioni tipo dei mattoni normalmente utilizzati in una
costruzione sono cinque: a livello di piano terra, le dimensioni dei mattoni sono
pari a (1+1/10)x(7/10) dhira (50,5 x 32,75 centimetri), i mattoni al secondo livello hanno
dimensioni pari a (9/10)x(2/3) dhira (42,5 x 30,5 centimetri), e così via per i mattoni fino alla
quinta dimensione che misurano (5/10+1/20)x(1/3+2/10) dhira (25,5 x 23 cm).
Lo spessore della parete è pertanto circa pari a: piano
terra e primo piano, (1+7/8) dhira (86 centimetri); secondo, piano (1+1/2) dhira (69 cm); terzo piano (1+1/4) dhira (57 cm); quarto piano 1 dhira
(46 cm); quinto piano (3/4) dhira (34,5 centimetri); sesto piano (5/8) dhira (28.5 cm); settimo piano e superiori (1/2) dhira (23 cm). Queste dimensioni variano naturalmente da
costruzione a costruzione e la variazione di spessore è tale che le facciate
esterne sono rastremate a scarpa in maniera tale che le pareti interne risultano
perfettamente verticali.
Fig. 3 – A sin. telaio per fare due mattoni di fango; a destra mattoni di terra-fango (mudbricks).
Le fondamenta sono a trincea profonda per le pareti fino a
raggiungere lo strato roccioso, di solito posto a circa 1,60 metri sotto il
livello del suolo. La trincea delle fondamenta è pari a circa una volta e mezzo
/ due volte la dimensione massima dello spessore della parete a livello del
suolo. Il fondo della trincea è coperto con uno strato di 3 cm di spessore di
escrementi di animale, sul quale è steso un successivo strato di salgemma per
uno spessore di 8 cm, che rende il terreno molto resistente. Poi sono poste
travi di legno del diametro di circa 10÷20 cm sistemate parallelamente alla
lunghezza della parete, e della stessa larghezza della trincea. Piccole pietre
sono usate per riempire gli interstizi tra le travi e per rendere il piano di
fondazione più resistente e con un livello uniforme. Dopo è applicato uno
strato di ‘ramād’ (calce con malta di
cenere), su cui si dispone il primo corso di pietre del basamento. Corsi
successivi di pietra innalzano il muro di fondazione fino al livello del suolo,
in maniera tale da garantire un sufficiente livello di impermeabilizzazione delle
murature in adobe. Per garantire la
qualità della muratura di fondazione le pietre sono ammorsate tra loro con il ramād.
Nelle costruzioni di minor pregio (più basse e più povere)
non si usa il ramād; la malta di
allettamento della muratura è fatta con malta di terra, spesso sono assenti le
fondamenta in pietra e solo la muratura esterna è eccezionalmente intonacata
con ramād o malta di calce. Lo spessore
del muro di fondazione di pietra è rastremato verso l’interno lentamente fino a
raggiungere la larghezza prevista del muro di mattoni di terra-fango, e si
innalza per almeno 50 centimetri fino a un massimo di due metri fuori terra,
prima che sia messo in opera il primo corso di mattoni.
Le murature sono infine rivestite da uno strato di terra-fango
più fine per rendere la parete liscia e svolgere la funzione di intonaco
protettivo. Il tipo di terra, che è una giusta combinazione di argilla, limo e
sabbia, è fondamentalmente impermeabile, anche se non è infrequente vedere rivestire
le parti basse delle murature con un intonaco a base di calce con funzione
protettiva. In alcuni casi è usata una pietra locale per i basamenti e per le
coperture piane degli edifici. La muratura in pietra, che si estende fino ai
primi due metri dell’edificio, ha la funzione di impedire il fenomeno di
umidità di risalita dal terreno. La copertura piana è in genere coperta di
fango, con le parti vulnerabili, come i parapetti rivestiti con un limo di alta
qualità chiamato ‘nurah’ (un intonaco
fine di calce e/o gesso), spesso applicato all’intera superficie del tetto; tale
rivestimento è disposto a strati successivi, con un impasto sempre più fine e
poi faticosamente “lucidato” con una pietra di forma speciale, come il tadelakt marocchino.
Il nurah è anche
utilizzato ai fini decorativi intorno alle finestre e alle porte grazie alle
sue caratteristiche di bianco brillante, spesso è mischiato all’indaco e produce
un celeste delicato. Si tratta di un intonaco simile a quello di calce, che ha
ottime caratteristiche di resistenza all’acqua, nonché qualità plastiche e
coloristiche [6].
I solai sono realizzati in legno. Il problema principale da
risolvere è sempre stato quello di trovare legno in grande quantità e di
dimensioni tali da poter coprire luci abbastanza grandi. Nei tempi antichi si
utilizzava il teak importato dall’India. Negli ultimi decenni, l’importazione
di teak, e anche di legno proveniente dall’Africa, ha consentito la
sostituzione dei solai ammalorati con nuove strutture e reso possibile il
recupero di molti edifici. Per gran parte della sua lunga storia Shibam ha avuto
a disposizione solo due tipi legni da costruzione, il legno ‘elb’ (‘ilb) o ‘sidr’ (Ziziphus spina-christi), noto anche come
‘himr’ o ‘nebk’ che ha la caratteristica di aumentare la sua resistenza con l’invecchiamento
nel tempo, e il legno ‘ithl’ (Tamarix aphylla) o tamerici. Siccome
sono specie legnose che non raggiungono grandi dimensioni in altezza del loro
fusto, le dimensioni degli elementi costruttivi portanti non potevano essere
molto elevate pertanto le dimensioni delle camere tendevano a essere limitate
in lunghezza con dimensioni massime pari a circa 3,5 m. Fasci più lunghi di
travi erano usati per le stanze di grandi dimensioni, e in questo caso si
utilizzavano colonne di legno rompi-tratta; una specie legnosa molto utilizzata
per le travi era il legno ‘ariata’ (Conocarpus erectus), che si ricavava
dalle poche aree in cui questa specie cresceva spontaneamente, anche se era estremamente
difficile trasportare lunghe travi a dorso di cammello su strade e terreni dal
fondo accidentato. Le strutture secondarie dei solai sono realizzate con piccole
travi, che si estendono trasversalmente, in numero di circa dodici per ogni
vano, e per questi elementi costruttivi molto bene si prestavano le essenze
legnose locali.
Tradizionalmente, il legno elb è stato utilizzato anche per tutte le opere complementari come porte,
finestre, zanzariere, tapparelle, armadi e mobilio in genere. Si tratta di un
legno abbastanza resistente che nelle condizioni di esposizione più sfavorevole
agli agenti atmosferici può durare anche cinquanta o sessanta anni senza
eccessiva manutenzione; quando conservato internamente all’alloggio, al riparo
dall’acqua, è invece quasi indistruttibile. In caso di esposizione alle
intemperie, il legno ithl ha una
durata inferiore, che si può stimare in circa quindici anni; è pertanto un
legno molto più economico, usato solo nelle case più povere. Insetti infestanti
come le termiti sono rari a Shibam, e questo ha favorito la conservazione delle
strutture di legno.
Fig. 4 –Shibam: tipologie di
finestre a tre, quattro, cinque aperture. Le finestre sono dotate di scuri
mobili all’interno e traforate con ricchi decori a ‘merletto’; inoltre, sono
state progettate per consentire il passaggio delle correnti d’aria anche quando
sono chiuse. Sotto i tetti ci sono piccole finestre con persiane che possono
essere aperte o chiuse, secondo le condizioni meteorologiche, in modo che la
temperatura all’interno degli edifici rimanga pressoché costante durante il
giorno.
Le case si sviluppano su più piani, attorno alla struttura
portante del vano scala (salaalim o arus al-bayt, letteralmente ‘corrente di
casa’), spesso costruito per quasi tutta la sua altezza in muratura di pietra e
malta ramād o malta di terra, anche
quando tutto il resto della costruzione è di mattoni di fango; il vano scala
non è molto grande e ha dimensioni pari a (3+3/10)x(2+7/10) dhira (pari a circa 1,5 x 1,25 metri).
Fig. 5 – In alto: sezione e pianta
del piano terra di una costruzione tipo del centro di Shibam, da Hesham Gerisha
2012. Mud Stadium. New York Science
Journal, n. 5 (5): p. 64. In basso: sezione e prospetto della casa di 'Alwi
bin Sumayt, da Friedrich Ragette, Traditional Domestic Architecture of
the Arab Region.
American University of Sharjah, 2003: p. 234).
Le case sono ingentilite con finestre e persiane in legno,
lavorate a dentelles come trine. Solitamente, i
piani più bassi non sono dotati di finestre e sono utilizzati come magazzini
per il grano e hanno aree destinate all’uso domestico. Gli animali di proprietà
della famiglia, come pecore e capre, sono tenuti in locali attigui e nelle
terrazze sopra i primi piani. Le stanze principali al secondo e al terzo piano presentano
ampi vani (mahadir) dedicati alle
attività degli uomini della famiglia e una sala di ricevimento (mafraj); quest’ultima è la principale
stanza delle case Yemenite e possiede generalmente ampie finestre basse che
assicurano allo sguardo luce e vista sulla strada. Le aree dedicate alle donne
si trovano solitamente ai piani superiori, il quarto e il quinto piano; in
questi piani si trovano anche le cucine, i bagni e i servizi igienici. Il sesto
piano e quelli superiori sono utilizzati dai bambini o dalle coppie di sposi
della famiglia allargata. Terrazze poste ai livelli superiori compensano l’assenza
di cortili aperti in casa.
Fig. 6 Interni, in cui si vede la
colonna rompi-tratta delle travi portanti dei solai e il ‘capitello’ di
ripartizione dei carichi.
Le abitazioni sono spesso collegate tra loro da ponticelli (detti
mi’bar) e porte di accesso
all’edificio, questi elementi costruttivi avevano una funzione di difesa ma
anche pratica, poiché consentivano agli anziani e alle donne di spostarsi da
una casa all’altra senza dover utilizzare le scale [7].
Le facciate sono rivestite con un intonaco in terra,
terra-calce o ramād, spesso
arricchito con carbone di legna, usato come legante per aumentare la tenacità
dell’impasto, e con sabbia grossolana e fine. Il ramād è posto su un sub-strato di intonaco di terra-paglia, e
finito con calce. Gli intonaci interni sono dello stesso tipo ma senza l’utilizzo
della cenere come ulteriore legante. Inoltre, le pareti interne sono levigate
con una selce fino a quando la parete non è perfettamente liscia e lucida. In
taluni casi, per aumentare la lucentezza della parete si utilizzava nell’impasto
il bianco d’uovo; questa tecnica era una miglioria importante all’impasto, che
ne garantiva lavorabilità e durata, ed era sinonimo di ricchezza della famiglia
quello di utilizzare un gran numero di uova nella costruzione.
La calce si otteneva in piccoli forni costruiti con mattoni
di fango, e si utilizzava lo sterco come combustibile. Quando la calce era
sufficientemente cotta, si mescolava con acqua in una trincea, e poi era battuta
da dieci fino a venti uomini con pesanti bastoni utilizzati per rompere tutti i
grumi dell’impasto; gli uomini lavoravano in piedi su lati opposti della
trincea per alternare i colpi e rendere omogeneo il risultato finale.
Fig. 7 – Rivestimento delle murature con malta di
terra-fango.
Le condizioni climatiche del luogo impongono, dopo la
stagione delle piogge, che i rivestimenti in terra delle facciate degli edifici
siano oggetto di manutenzione. Tale manutenzione si esegue realizzando un nuovo
strato di ‘intonaco’ di terra-fango che successivamente può essere dipinto con
il nurah che ha, come abbiamo visto,
funzione protettiva contro l’azione del vento e dell’acqua.
Fig. 8 – I colori di Shibam: vista
generale dal Wadi Hadhramaut.
3. Il colore della terra
La terra argillosa del Wadi Hadhramaut associata al bianco
cangiante del nurah dà all’osservatore
un’immagine particolare e mutevole dell’Architettura di Shibam. Argille chiare
e scure, tendenti all’ocra e al rosso, tonalità di bianco che mutano al variare
della luce solare sono gli ingredienti cromatici del colore della città. I
cromatismi di Shibam dipendono dalla natura della terra stessa, ma anche dalla
sapiente opera dell’uomo che ha saputo manipolare un materiale povero come questa
particolare terra argillosa, associata al limo e al fango del wadi per ottenere un materiale plastico
dalle forti valenze costruttive, tecnologiche e strutturali, ma anche materiche
e coloristiche.
La terra di Shibam ha tonalità calde e sature, tra loro
facilmente accostabili con effetti di notevole gradevolezza cromatica, estetica
e tattile. Il pigmento naturale ad alto tenore di argilla assume variazioni
cromatiche in funzione della luce, con colorazioni che variano dall’alba al
tramonto, dall’ocra – con le sue tonalità mutevoli dal giallo-oro al marrone
chiaro - al rosso mattone.
La peculiarità di questa terra è la sua capacità di avere al
suo interno la gamma delle tonalità dell’ocra dal giallo al rosso, con
colorazioni differenti dal giallo chiaro al bruno-giallastro, e questo
cromatismo si evidenzia in particolare nel pomeriggio, quando la luce calante
fa assumere agli edifici un caldo colore del bronzo, e fa brillare il bianco
dei decori e lo scuro degli infissi di legno.
Fig. 9 – I colori di Shibam: gradazioni di ocra delle
argille, e rivestimenti bianchi realizzati con nurah.
Fig. 10 – I colori di Shibam:
contrasti di luce e materiali.
Fig. 11 – I colori di Shibam: contrasti
cromatici di luci e colori tra pareti e soffitti.
4. Conclusioni
Situato tra due montagne sul bordo del grande wadi e quasi completamente isolato da
qualsiasi altro insediamento urbano, Shibam e il suo ambiente conservano l’ultimo
superstite e forse la prova provata di una società tradizionale che si è
adattato alla vita precaria di un ambiente agricolo che dipende dalle piene
periodiche del Wadi Hadhramaut. All’interno della cinta muraria, le
caratteristiche e il tessuto urbano della città, tutti gli elementi materici e
costruttivi dell’edilizia, che formano il significato di una realtà
architettonica e urbana sono presenti e in gran parte integri e per lo più in
buone condizioni [8]. Inoltre, l’oasi, il suo funzionamento e il rapporto con
la città è ancora intatto, e merita una adeguata protezione. L’integrità
sociale, funzionale e visiva dell’ambiente naturale e antropizzato è ancora
valida anche se l’integrità materiale, costruttiva, funzionale e strutturale
delle fabbriche è indirettamente minacciata dalle nuove costruzioni in
calcestruzzo armato, oggetti dannosi per l’ambiente circostante.
L’Architettura di Shibam è una architettura materica,
plastica, visiva, colorata ed è oggi minacciata nella sua integrità
architettonica, formale, tecnologica e strutturale dal ‘moderno’ che avanza e
che impone stili e tecniche costruttive importate dall’Occidente, nonostante siano
stati eseguiti importanti interventi di recupero promossi negli anni a favore
della conservazione del genius loci e
di una ripresa dell’economia che favorisca la residenza e non permetta l’abbandono
della città.
Fig. 12 – Moschea, minareto, torre
civica e casa-torre.
Nondimeno, Shibam richiede una continua opera di
manutenzione per la sua tutela, soprattutto quando l’azione dei monsoni genera
effetti devastanti sulle costruzioni soggette all’incuria dell’uomo. Nel 2008
forti precipitazioni e l’esondazione del Wadi Hadhramaut hanno causato gravi
danni a numerosi edifici della città, messo in ginocchio l’economia locale, e
molte persone hanno abbandonato la città storica in favore di nuovi
insediamenti in aree non esondabili, e più sicure dal punto di vista
ambientale. Questo depauperamento del tessuto abitativo è una delle cause più
importanti del declino che può colpire la città millenaria.
Fig. 13 – Edifici dell’antica città
di Shibam il 28 ottobre 2008 dopo la devastante alluvione che ha colpito lo
Yemen del sud-est distruggendo centinaia di case di terra-fango e lasciando
decine di morti e dispersi. Si possono osservare le facciate degli edifici con
le lacune nei rivestimenti e alcune costruzioni senza le coperture.
Per questo motivo già nel 1982 l’UNESCO aveva fatto redigere
da Ronald Lewcock e Jacques Heyman [9] un dettagliato rapporto sulle condizioni
di degrado ambientale, statico e materico della città e proposto una serie di
interventi di restauro e consolidamento statico per ridare alla città lo
splendore passato, e poi dichiararla patrimonio mondiale dell’UNESCO. La
conclusione di Heyman è perentoria: « The first priority in the
rehabilitation of the houses must be to restart the traditional ways of
maintaining the roofs and walls » [10].
In questo senso, lo spirito di questa breve nota è quello di
portare all’attenzione dello studioso un patrimonio di Architettura che
raccoglie al suo interno l’insieme di quei saperi
propri dell’arte e della scienza del costruire, che sono alla base del fare
Architettura. In questo senso reputiamo che il recupero consapevole degli antichi
mestieri, delle tecniche costruttive tradizionali, dell’uso dei materiali
locali sia un passo in vanti verso il progresso, per la conservazione e la
riabilitazione di un patrimonio architettonico sempre più violato dal
‘modernismo’ imperante volto al ‘nuovo’, e molto spesso dimentico di conoscenze
di grande valore storico e scientifico. Per questo motivo Shibam con i suoi
palazzi innalzati verso il cielo azzurro dell’Arabia Felix, rappresenta l’essenza dell’Architettura materica e
razionale contro l’insensatezza di molta architettura contemporanea.
“We are not against
Beauty, but against useless things”.
[Nikita Sergeevič
Chruščëv, 1954].
Note
[1] Helfritz, Hans 1937. “Land without shade”. Journal of the Royal Central Asian Society, 24, n. 2: 201–16.
[2]
Costruita “da mani di giganti per antichi re simili a
dei”, cfr. Stark, Freya 1936. The Southern
Gates of Arabia. A Journey in the Hadhramaut. S.l.: E.P. Dutton; p. 185.
[3]
Jerome, Pamela; Chiari, Giacomo; Borelli, Caterina
1999. The Architecture of Mud:
Construction and Repair Technology in the Hadhramaut Region of Yemen. APT Bulletin 30, n.2–3: 39–48.
[4]
Ronald Lewcock 1986. Wadi Hadramawt and the walled city of Shibām. Paris: UNESCO.
[5]
Hinz, W. “D̲h̲irāʿ.” Encyclopaedia of Islam, Second Edition. Edited by: P. Bearman, Th.
Bianquis, C.E. Bosworth, E. van Donzel, W.P. Heinrichs. Brill Online, 2015.
[6]
Sull’Architettura di Shibam e del Wadi Hadhramaut cfr.:
Salma Samar Damluji, The Valley of Mud
Brick Architecture (Shibām, Tarim, and Wadi Hadramaut). Reading: Garmet
Editions, 1992. Sull’Architettura yemenita vedi invece: Salma Samar Damluji
2008. The Architecture of Yemen: From
Yafi to Hadramut. London: Laurence King Publishing. Cfr. anche: Breton,
Jean-Francois and Darles, Christian 1980. Notes préliminaires sur l’architecture de Shibâm une ville du aramawt
(Sud-Yémen). Studia Islamica,
51, 179-97; Breton, Jean-Francois and Darles, Christian 1985. Shibam and the
Wadi Hadramaut. MIMAR 18: Architecture in
Development, Singapore: Concept Media Ltd. Infine, sempre sull’Architettura
yemenita cfr.: Costa Paolo e Ennio Vicario 1977. Yemen, paese di costruttori. Milano: Electa; Manfredi Nicoletti
1985. Architettura e paesaggio nello Yemen
del Nord. Roma-Bari: Laterza.
[7]
Un interessante studio sull’edilizia di Shibam è il
seguente: Anwar Ahmed Baessa, Ahmad Sanusi Hassan 2010. An Evaluation of Space
Planning Design of House Layout to the Traditional Houses in Shibam, Yemen. Asian Culture and History, Vol. 2, No.
2; July 2010: pp. 15-24. Vedi anche: Hatim M. Al-Sabahi 2005. A Comparative Analysis of the vernacular
Housing Cluster of Yemen. Sana’a and Shibam Hadhramawt A Case Study. Journal of Science & Technology, Vol.
10, n. 1 & 2: pp. 27-34.
[8]
Una campagna di restauri è stata promossa dall’UNESCO,
dal Governo Yemenita (General Organization for the Preservation of
Historic Cities in Yemen, Ministry of Culture, the General Organization for the
Preservation of Historic Cities in Yemen), dall’Aga Khan Awards for
Architecture e dalla German Society for Technical Cooperation
(Gesellschaft für Technische Zusammenarbeit),
quest’ultima ha intrapreso un progetto di sviluppo urbano di Shibam tra il 2000
e il 2010. Un team di professionisti ha documentato e ispezionato gli edifici
storici e residenziali della città, e ha offerto una guida e una stima per il
costo del restauro. I proprietari interessati potranno quindi ripristinare i
loro edifici con una sovvenzione del 35% offerto dal Fondo sociale dello Yemen
per lo sviluppo sociale ed economico del Paese. Il progetto prevede un forte
incentivo contro l’esodo dalla città storica e ha avuto l’effetto di stimolare
la conoscenza e il re-impiego delle tecniche di costruzione tradizionali delle
costruzioni in mattoni di terra-fango di Shibam. Per rispondere alle esigenze
di una comunità che vive attraverso la conservazione il progetto ha ricevuto il
Premio Aga Khan Awards for Architecture
nel 2007.
[9]
Ronald Lewcock & Jacques Heyman 1982. Shibam and Wadi Hadramawt. Report No. 3.
Technical Report. Paris: UNESCO.
[10] Ibidem, p. 47.
Bibliografia
- Baessa, Anwar Ahmed & Ahmad Sanusi Hassan 2010. An Evaluation of Space Planning Design of House Layout to the Traditional Houses in Shibam, Yemen. Asian Culture and History, Vol. 2, No. 2, July 2010: pp. 15-24.
- Bianca, Stefano 1980. “Historic Islamic centers and outstanding monuments to be safeguarded,” Symposium on the Conservation and Restoration of the Islamic Heritage. Lahore, Pakistan, Paris: UNESCO and UNESCO Pakistan, February 11, 1980, pp 1-33.
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