Naturalis materia vs materiali innovativi
1Massimo Corradi
1Dipartimento di Scienze per l’Architettura, Scuola Politecnica - Genova, corradi@arch.unige.it
1Dipartimento di Scienze per l’Architettura, Scuola Politecnica - Genova, corradi@arch.unige.it
Abstract
The ancient buildings,
up to the time of the revolution ‘technology’ which took place with the introduction
of new materials (iron, steel and reinforced concrete ) has always based its ‘materiality’
on the use of natural materials such as stone , brick , lime mortars and
pozzolanic, cement mortars (in the sense of Roman caementum), ductile iron, wood, and to the origins of buildings -
but otherwise still in use today in many regions of the world (Asia, Africa and
Central and South America) - , straw, earth (adobe, pisé, CEB),
the latter the most natural, sustainable, environmentally friendly and
economical building material, and in many regions of the Far East bamboo.
In the
twentieth century after the great season of reinforced concrete and steel
materials used both in new buildings and in the speeches of static consolidation
of building structures, but also of the listed buildings and monuments, there
was, by industry, the development of high-performance metallic materials (steels
with high carbon content), polymers, ceramics, composites, etc., not always
compatible with those used in ancient buildings and often invasive and
non-reversible, especially when they were used in the strengthening of
structures, questioning the “sustainability” of restoration and conservation,
especially compared to “experimentum crucis” which, in
restoration, can be identified with the ‘test of time’.
Il passato
in funzione del presente [è] il presente in funzione del passato
[Marc Bloch, 1949].
Introduzione
Il
costruito storico, fino alla rivoluzione ‘tecnologica’ avvenuta con l’introduzione
dei nuovi materiali (ghisa, ferro, acciaio e calcestruzzo armato) ha sempre
fondato la sua ‘materialità’ sull’uso di materiali naturali quali quelli
lapidei, i laterizi, le malte di calce, quella pozzolanica, le malte cementizie
(nel senso di caementum romano), il
ferro dolce, il legno e, alle origini del fabbricare – ma altrimenti in uso
ancora oggi in molte regioni del mondo (Asia, Africa e Centro-Sud America) -,
la paglia, la terra, quest’ultimo il più naturale, sostenibile, ecologico ed
economico materiale da costruzione, e in molte regioni dell’Estremo oriente il
bamboo.
Nel XX secolo dopo la grande stagione del cemento armato
e dell’acciaio, materiali utilizzati sia nelle nuove costruzioni che negli
interventi di consolidamento statico delle strutture edilizie ma anche degli
edifici vincolati e monumentali, si è assistito, da parte dell’industria, allo
sviluppo di materiali metallici ad alte prestazioni (acciai ad alto tenore di
carbonio), materiali polimerici, ceramici, compositi, ecc., ai fini di un loro
impiego nelle nuove costruzioni, ma anche negli interventi di restauro e
consolidamento statico, anche se questi materiali non sono compatibili con quelli
utilizzati nelle costruzioni antiche; viceversa essi si sono dimostrati spesso
invasivi e non reversibili, soprattutto quando sono stati impiegati nel
consolidamento delle strutture, mettendo in discussione la “sostenibilità”
degli interventi di restauro e conservazione, soprattutto rispetto all’experimentum crucis che nel restauro può
essere identificato con la ‘prova del tempo’.
Nell’ambito, poi, degli interventi di rinforzo statico e
consolidamento strutturale la ‘fantasia’ dei progettisti e la loro pervicacia a
ricercare nuove soluzioni strutturali in funzione dei nuovi materiali proposti
dall’industria delle costruzioni ha di fatto abbandonato sentieri battuti dall’arte
del costruire per addentrarsi nel fitto bosco della non-conoscenza con la
presunzione di giustificare le soluzioni adottate sotto la ratio della ricerca scientifica e con il principio fondante che è
ricerca solo quello che è “nuovo e innovativo”. L’innovazione è dunque
diventata il vessillo delle nuove strade intraprese nello studio dei materiali,
delle tecnologie e dei sistemi costruttivi in architettura e viepiù nel
restauro, dimenticando che la più grande innovazione proprio nel campo del
restauro, e in particolare del restauro statico e del consolidamento
strutturale, risiede invece nella comprensione dei rapporti
materia/forma/struttura, con riferimento all’uso dei materiali naturali, e dei
sistemi statici adottati dall’arte e dalla scienza del costruire in migliaia di
anni di storia dell’architettura e della costruzione.
I sistemi di consolidamento tradizionali [Corradi &
Brigandì, 1999; Corradi, 2000] che hanno visto, in epoche anteriori all’uso del
calcestruzzo armato e delle strutture in acciaio, la realizzazione di
intelligenti, duraturi e staticamente ammissibili sistemi di rinforzo
strutturale, attraverso l’impiego di contrafforti e i maschi murari, archi di
sostruzione, sotto-murazioni in conglomerato, concatenamenti e cerchiature in
ferro dolce, con l’impiego di chiavi e bulzoni, e così via, non sono stati
assimilati dalla cultura contemporanea in parte priva di un consapevole
approccio al problema del consolidamento e della riabilitazione strutturale
delle costruzioni in muratura [Corradi, 2008].
Restauro e sostenibilità
Il
concetto di sostenibilità dell’intervento di restauro, ma in particolare di
quello di consolidamento statico rimanda allora alla definizione di
“sostenibile”. Cosa vuol dire sostenibile e cosa si intende per sostenibilità
nel restauro? Queste domande evocano alcune considerazioni che reputiamo sia
necessario introdurre.
La sostenibilità, in senso generale, dovrebbe essere la
caratteristica principale di un intervento, che dovrebbe poter essere mantenuto
con un medesimo livello prestazionale nel tempo, indefinitamente ovvero con un
tempo di sostituzione negli anni abbastanza lungo. Il soddisfacimento di
esigenze presenti, legate ad esempio alla sicurezza e all’utilizzo del bene,
senza peraltro procedere con interventi che possano compromettere la
possibilità delle future generazioni di intervenire con la loro modificazione,
sostituzione e/o addirittura eliminazione, fa immaginare un insieme di
interventi relativi ad un ambito circoscritto e bene caratterizzato. Tale
insieme deve garantire una serie di requisiti che non devono e non possono
alterare il bene stesso in maniera rilevante, ma soprattutto irreversibile, si
pensi ad esempio alle cuciture armate con barre filettate o all’impiego di
resine chimiche per la sigillatura di lesioni e fessure nelle murature. In
questo senso la sostenibilità nel campo del restauro strutturale dovrebbe
essere contemporaneamente un’idea progettuale alterabile, modificabile,
reversibile, un modo di intervenire che non metta in condizione di non poter
avere ripensamenti, ma altrimenti consenta ad altri di poter intervenire nel
momento stesso che l’intervento progettato e realizzato, la tecnologia scelta e
i materiali utilizzati siano reputati non più idonei a svolgere il compito per
cui sono stati scelti e impiegati.
L’evoluzione tecnologica nel campo delle costruzioni e
delle strutture, la ricerca di innovazione ad ogni costo, spesso incontrollata,
la volontà di trasformazione senza analisi a
priori degli effetti causati dall’uso di materiali e tecnologie non
sufficientemente sperimentate, può delineare una perdita di controllo nel campo
degli interventi di consolidamento strutturale. Si può, infatti, arrivare fino
a un punto di non ritorno tale da avere una perdita di consapevolezza e
riscontro dell’uso delle materie scelte e impiegate, dimostrando scarsa
attenzione alla storia costruttiva e materiale della costruzione, con l’alta
probabilità e il rischio di operare interventi di totale trasformazione, ad
esempio, del cimento statico della struttura antica.
In questo senso l’intervento sostenibile deve garantire l’osservanza
di almeno alcuni parametri di riferimento che si possono riassumere nei
seguenti: 1) deve essere compatibile con quelli esistenti, 2) deve garantire
una certa durata nel tempo, 3) deve essere modificabile e reversibile senza
apportare danno alle strutture esistenti, 4) deve garantire la riciclabilità
dei materiali usati con l’auspicio di una loro trasformazione e di un loro
reimpiego. Generare, mantenere, riutilizzare sono le parole della sostenibilità
in Architettura e nel Restauro, nel rispetto del monumento, della fabbrica, del
costruito storico, massimizzando la qualità dell’intervento con il minimo
impegno di risorse intese come consumo di materie prime ed energia, ossia
utilizzare materie che devono appartenere il più possibile al mondo naturale,
non derivato da eccessive trasformazione industriali. Nelle costruzioni antiche
in muratura, ad esempio, l’uso di malte di calce, laterizi anche di reimpiego,
pietra, legno (anche di recupero da demolizioni e smontaggi), re-utilizzo di
grappe e catene in ferro dolce, (oggi sempre più spesso sostituite da barre in
acciaio ad aderenza migliorata), dunque l’utilizzo di materie prime naturali
con il minimo investimento energetico deve necessariamente fare parte del
bagaglio culturale e scientifico del restauratore.
Il concetto di “sostenibilità” applicato all’Architettura
e al Restauro, e nel caso particolare di questa nota al restauro strutturale,
si deve riferire a maggior ragione alla ricerca di soluzioni costruttive che
massimizza il risultato per gli utilizzatori attuali e al contempo garantisce
alle generazioni future la possibilità di conseguire lo stesso risultato con
interventi dello stesso tipo che possono essere integrazioni, modificazioni,
sostituzioni; tutto questo con la consapevolezza che ogni intervento che si
realizza non deve essere ultimativo e definitivo ma altrimenti possibile di
ripensamento e rifacimento.
Materiali per il consolidamento strutturale “sostenibile”
La
sostenibilità in architettura, nelle costruzioni e nel restauro sta proprio
nella conoscenza e nella capacità di impiegare i materiali naturali, e comunque
quelli per secoli utilizzati dai maestri costruttori e che sono, rispetto alle
nuove istanze portate avanti dall’industria e dalla ricerca scientifica piegata
ai desiderata dell’industria e dell’economia, del tutto compatibili e
sostenibili con il contesto storico, geografico e ambientale della costruzione
stessa.
I materiali “sostenibili” che dovrebbero essere
utilizzati negli interventi di consolidamento statico dovrebbero appartenere,
ad esempio, a queste famiglie: malte di calce, malte di calci idrauliche
naturali [Pecchioni et alii, 2008]
invece delle malte cementizie e anche di quelle bastarde; materiali lapidei e laterizi,
o ceramici a pasta porosa, di re-impiego o altrimenti, materiali della stessa
natura e con caratteristiche meccaniche similari, ma di produzione
possibilmente locale e comunque compatibili con quelli esistenti (mattoni
pieni, invece di semipieni o forati); ferro dolce (acciai a bassissimo tenore
di carbonio, compreso tra lo 0,05% e lo 0,25%) molto malleabile che bene si
adatta alle deformazioni cui possono essere soggette le strutture murarie,
legno naturale e non legno lamellare o comunque alterato nella sua
conformazione da agenti chimici o protesi meccaniche, comunque realizzate come
ad esempio avviene con l’uso di materiali fibro-rinforzati, FRP.
Le tecniche e le tecnologie impiegate per gli interventi
di consolidamento statico devono inoltre essere coerenti con le strutture della
fabbrica e rispettose del cimento statico delle strutture esistenti. In questo
senso lo studio delle tecniche costruttive, delle tecnologie storiche, del
comportamento meccanico dei materiali utilizzati diventa strumento essenziale
per la comprensione della statica della costruzione e del suo comportamento
strutturale [Corradi, 1999a; 1999b].
Nondimeno, nella pubblicistica corrente - si veda una tantum il “Manuale per il recupero
dei centri storici” redatto per conto della Regione Abruzzo nel 2001 -, si
assiste alla promozione di tecniche di consolidamento statico invasive, non
reversibili, non compatibili, di dubbia efficacia, figlie di una cultura
“ingegneristica” auto-referenziata, dotata di una fiducia eccessiva nell’ingegneria
e nelle tecniche moderne, e poco consapevole del complesso sistema di tecniche
e regole dell’arte che ha dato luogo alla costruzione delle fabbriche antiche.
Si osserva così alla riproposizione di tecniche di consolidamento obsolete e
riprese da una manualistica “distruttivista” degli anni ‘80-’90 del secolo
scorso. Al capitolo sul “ripristino delle condizioni statiche” si assiste così
alla ri-proposizione di protocolli di intervento già in letteratura, ‘inqualificabili’
come ad esempio la reintegrazione delle murature con fogli di polietilene
sostenuti da rete metallica elettrosaldata su fondo di resine sintetiche
iniettate nelle commessure della muratura stessa [Caleca, De Vecchi 1983],
cuciture armate con barre in acciaio filettate e iniezioni di resine per rinforzo
di colonne lapidee e archi murari [Giovannetti, 1992; 1997; 2000], cordoli in
cemento armato, con chiodature in acciaio per il collegamento con la muratura
perimetrale, per il rinforzo di solai in legno [Rocchi, Piccirilli 1991],
coacervi di micropali e cuciture armate per il sostegno delle fondazioni
[Rocchi, Piccirilli 1991], fibro-rinforzati per il placcaggio e la cerchiatura
di pilastri e colonne [Avramidou, 2000], rinforzo (sic!) di solai in legno con
soletta in calcestruzzo armato [Giovannetti, 1992; 1997; 2000], cappe in
cemento armato con connettori in acciaio di legamento per il consolidamento di
volte in muratura [Rocchi, Piccirilli 1991; Giovannetti, 1992; 1997; 2000],
incollaggi di fibre di vetro con barre filettate in acciaio di ancoraggio alle
murature perimetrali per il consolidamento di volte [Recupero &
Conservazione, 1999], sospensione di volte murarie tramite tiranti in acciaio a
nuovi solai in acciaio incastrati sulle murature per mezzo di massicci cordoli
in cemento armato [Caleca, De Vecchi 1983], ma l’elenco potrebbe essere
lunghissimo e comunque la manualistica corrente ne mantiene traccia.
Tutto ciò nonostante studi e ricerche abbiano portato
alla redazione di una Direttiva del
Presidente del Consiglio dei Ministri 9 febbraio 2011 sul tema “Valutazione e
riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale con riferimento alle
Norme tecniche per le costruzioni” [D.P.C.M. 9
febbraio 2011], di tutt’altro tenore e avviso.
Questo avviene perché esiste un substrato di operatori del restauro statico troppo ciechi
e ‘ignoranti’ dell’arte e della scienza del costruire, perché «sembra a molti
che per consolidare basti essere buoni ingegneri, trattandosi infine di soli
problemi tecnici», dimentichi del fatto che «arte e tecnica negli edifici
antichi sono una cosa sola» [Forlati, 1938].
Si evidenzia così come i manuali per il consolidamento
sono spesso un repertorio di soluzioni per i diversi elementi della fabbrica (archi
e volte, solai lignei, murature, fondazioni, ecc.) che portano, in genere, all’esecuzione
di interventi non giustificati, e spesso dannosi per la conservazione della
fabbrica stessa.
Alcune considerazioni sui nuovi materiali FRP
Gli FRP a matrice polimerica, costituita da resine di tipo termoindurente, epossidiche
e più raramente poliestere, ma anche da carbonio (CRFP), vetro (GFRP), aramide
(AFRP) e i calcestruzzi rinforzati con FRP sono sempre più presenti nei
cantieri di restauro (Fig. 1), soprattutto dove si deve intervenire per
aumentare le capacità di resistenza delle murature e per ripristinare la
durabilità e la capacità portante di strutture ammalorate, associate all’uso di
resine epossidiche per l’adesione alle strutture esistenti. Nel campo del
restauro statico la fibra più utilizzata è quella di carbonio
(poliacrilonitrile).
Questo sistema molto diffuso nel campo della
progettazione strutturale, spinto dalle società produttrici di questi
materiali, nega completamente il concetto di sostenibilità dell’intervento di
consolidamento, recupero e riabilitazione strutturale. Questi materiali, peraltro
soggetti a frequenti fenomeni di rottura per de-laminazione, a seguito della
perdita di aderenza fra il materiale composito e la superficie di adesione,
fenomeni che peraltro si manifestano in maniera improvvisa e dunque con un alto
livello di rischio e pericolosità, rappresentano un problema di natura
teoretica nel campo del restauro perché sono pericolosi (rottura fragile
improvvisa), non reversibili (soprattutto se associati a sistemi che prevedono
l’uso di barre in acciaio), invasivi (basta vedere i sistemi di cerchiatura di
colonne lapidee), non riciclabili e soggetti a procedure di smaltimento
complesse e costose, oltre che dannosi perché mutano il cimento statico delle
strutture esistenti. Questi sono non di meno invasivi, quando sono associati,
ad esempio, a intonaci armati (con armatura in acciaio e calcestruzzo) usati
per ‘placcare’ le murature (Fig. 2).
Le N.T.C. 2008 e la Direttiva P.C.M. del 9
febbraio 2011, che riprende le Linee Guida per l’applicazione della normativa
sismica ai Beni Culturali emanate il 12 ottobre 2007 come “Direttiva del
Presidente del Consiglio dei Ministri per la valutazione e riduzione del
rischio sismico del patrimonio culturale”, hanno peraltro ribadito che l’intervento
di consolidamento murario con intonaco armato, e in questo caso rientra anche l’uso
dei FRP, è giustamente definito “invasivo e non coerente con i principi della
conservazione”.
Il percorso della conoscenza
Nel campo della sostenibilità degli interventi di restauro e consolidamento
statico del costruito storico è dunque necessario stabilire una serie di
criteri di intervento come peraltro previsto nel D.P.C.M. 9 febbraio 2011 (Cap. 4), ciò deve garantire lo svolgimento di una serie
di attività preliminari al progetto e alla realizzazione dell’intervento che
possono essere riassunte in quello che le norme stabiliscono come il “percorso
della conoscenza”.
La complessità della fabbrica muraria, le tipologie
e le singolarità costruttive, le trasformazioni nel tempo, lo stato d’uso, lo
stato di conservazione, e la difficoltà di applicare modelli di calcolo univoci
e di carattere generale, propri della scienza delle costruzioni, e la necessità
di procedere all’analisi strutturale attraverso modelli ritenuti affidabili, richiede
un approfondito percorso di conoscenza del fabbricato che non deve esimersi
dallo svolgere una serie di attività di carattere generale e puntuale. Tali
attività prevedono lo svolgimento di indagini storiche (conoscenza storica
architettonica, costruttiva, tecnologica e materica), rilievi sulle geometrie e
sullo stato di conservazione degli elementi strutturali, indagini sui
materiali, sul comportamento strutturale a livello globale e locale, per
conseguire un’adeguata conoscenza delle strutture della fabbrica, al fine di
evitare opere superflue e non necessarie. In questo senso, anche le Norme
tecniche stabiliscono che, in particolar modo per le opere soggette a rischio sismico,
«è opportuno accettare consapevolmente un livello di rischio sismico più
elevato rispetto a quello delle strutture ordinarie, piuttosto che intervenire
in modo contrario ai criteri di conservazione del patrimonio culturale» [D.P.C.M. 9 febbraio 2011: § 2.2].
Come prescrivono le norme, il percorso della
conoscenza deve prevedere 1) l’identificazione della costruzione e la sua
localizzazione in relazione a particolari aree a rischio, 2) il rapporto della
stessa con il contesto urbano circostante, 3) il rilievo geometrico della
costruzione nello stato attuale, comprensivo dell’analisi dei quadri
fessurativi e deformativi, 4) la storia delle trasformazioni edilizie della
fabbrica, 5) l’individuazione degli elementi (geometrie e tecniche costruttive)
che costituiscono l’organismo strutturale nei suoi componenti materiali (anche
dal punto di vista dello stato di degrado e delle caratteristiche meccaniche),
tecnologici e costruttivi, 6) la conoscenza del sottosuolo e delle strutture di
fondazione, e i cambiamenti di dissesto anche per conseguenza di fenomeni naturali
e antropici; 7) monitoraggio delle strutture con un controllo periodico della
costruzione per una conservazione consapevole.
Considerazioni finali di carattere etico e di metodo
Il problema del consolidamento statico e, quindi, quello dell’uso di
materiali innovativi che, in genere, non sono sostenibili ed eco-compatibili,
nel significato che abbiamo descritto in precedenza, diventa allora un problema
etico e di metodo.
In questo senso, per definire un intervento di
restauro e consolidamento statico del costruito storico di tipo sostenibile è
necessario stabilire una serie di criteri che sulla falsariga di quanto già
evidenziato nelle Norme tecniche citate debba garantire l’osservanza di alcuni
principi etici e di metodo.
In primis è necessario individuare
il modello di analisi strutturale più idoneo tenendo conto che le costruzioni
antiche sono state realizzate utilizzando principi differenti da quelli attuali
spesso basati sul concetto di similitudine comportamentale, spesso fondati sull’empiria
e sull’esperienza e l’intuizione personale del progettista/costruttore, in
genere basata sul concetto di equilibrio di corpo rigido e non di comportamento
elastico; criteri esecutivi e di dimensionamento geometrico, definiti anche
come regole dell’arte del tutto funzionali all’opera stessa e in grado in
moltissimi casi di superare due aspetti sostanziali della vita della fabbrica:
1) la prova del tempo, 2) la capacità di adattarsi a differenti usi della
fabbrica per modificazioni tipologico-funzionali operate dall’uomo. Per valutare
la sicurezza di una costruzione esistente, è pertanto necessaria un’adeguata
conoscenza del manufatto, che non può prescindere dall’analisi del suo
comportamento strutturale.
In
secundis è necessario attenersi all’esecuzione di interventi sulle strutture,
necessari per ridurre la vulnerabilità sismica della fabbrica e per garantire
la conservazione della costruzione, di miglioramento, di riparazione o
interventi locali che non alterino o modifichino il comportamento globale e
locale del manufatto e delle strutture, ossia adottare regole per la
realizzazione degli interventi che assicurino la compatibilità dei nuovi
elementi con quelli originari e la durabilità dei materiali.
«Il progetto degli interventi dovrà [pertanto]
garantire la conservazione dell’architettura in tutte le sue declinazioni» [D.P.C.M. 9 febbraio 2011 Cap. 6]. L’obiettivo è la
conservazione della materia, del funzionamento strutturale e dell’uso della
fabbrica limitando gli interventi, anche riguardo all’esecuzione delle opere
impiantistiche, evitando tutte quelle opere di demolizione-sostituzione e di
demolizione-ricostruzione, invasive e non reversibili, ma operando invece con
interventi che si integrino con la struttura esistente, rispettosi dei
requisiti di sicurezza e durabilità, senza trasformazioni radicali.
I concetti chiave si compendiano dunque in: non
invasività, compatibilità, reversibilità, coerenza materiale e comportamentale,
soprattutto dal punto di vista della meccanica dei materiali, durabilità e
integrità architettonica. Tutto questo si riassume, a mio avviso, nella sola
istanza ammissibile per un manufatto storico che è quella di utilizzare, per il
suo recupero e la sua conservazione, materiali della stessa tipologia e specie
di quelli utilizzati nella fabbrica antica, attraverso uno studio sistematico
del loro comportamento meccanico, delle tecniche usate per la loro messa in
opera, delle tecnologie proprie per la loro produzione in contrapposizione all’impiego
di materiali ‘figli’ dell’innovazione tecnologica e che non rispettano i criteri
di cui sopra abbiamo fatto cenno, anche perché non hanno sufficienti verifiche
di durata nel tempo non solo per se stessi, ma in relazione al rapporto che
essi stabiliscono intrinsecamente con le strutture antiche.
Gli interventi dovranno, pertanto, rispettare la
concezione e le tecniche costruttive originarie della struttura utilizzate in
origine e nel tempo anche attraverso le trasformazioni della fabbrica. In
questo senso i materiali tradizionali - lapidei,
laterizi, malte di calce e pozzolanica, ferro dolce, legno, ecc. - meglio si prestano agli
interventi di rinforzo e consolidamento strutturale, poiché certamente coerenti
e compatibili con quelli esistenti. E per questi motivi, per una corretta
valutazione del loro impiego, la storia del manufatto diventa il punto di
partenza di ogni progetto.
La storia della costruzione e la scienza del
costruire [Corradi, 2010], discipline peraltro assente negli ordinamenti didattici
dei corsi di laurea in Architettura a livello italiano, ma diffusa e insegnata
oramai in tutto il mondo, se affrontata ‘a tutto tondo’ rappresenta allora lo
strumento per una corretta valutazione delle tecniche, delle tecnologie e dei
materiali da impiegarsi nell’intervento di restauro e consolidamento statico al
fine di una sua integrità architettonica e strutturale, materica e
comportamentale.
La storia non è solo la
scienza degli uomini, ma è la “scienza degli uomini nel tempo”
[Marc
Bloch, 1949].
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