La teoria dei colori di Johann Wolfgang von Goethe
1Massimo Corradi
1Dipartimento di Scienze per l’Architettura
– Scuola Politecnica, Genova, corradi@arch.unige.it
«Quelli che compongono con luci di colori la luce unica
ed essenzialmente bianca, sono i veri oscurantisti».
(Goethe, Massime e riflessioni)
1. Introduzione
Johann Wolfgang von Goethe (1749 - 1832), uno tra i più
importanti autori e poeti di tutti i tempi, definito come l’ultimo genio
rinascimentale, è stato non solo un grande letterato, ma anche un pittore, uno
scienziato e un pensatore a “tutto tondo”. Nel saggio Zur Farbenlehre
(“Della Teoria dei Colori”) [1] illustra la sua teoria
scientifica – o come l’hanno considerata alcuni detrattori “prescientifica” - sui
colori e sulla loro percezione che, nelle sue intenzioni, doveva rappresentare
un nuovo modo di interpretare non solo l’ottica, ma la fisica e, più in
generale, la scienza. Si tratta di uno scritto che si discosta molto dalle sue composizioni
letterarie, anche se ne contiene al suo interno lo stile poetico associato però
a una visione scientifica, e mette in risalto la complessità del fenomeno
cromatico e l’ingerenza non trascurabile che ha l’organo della vista nei
confronti della percezione luminosa e della sua traslitterazione nel colore.
Nondimeno, approfondendo l’azione sensibile e etico-morale del colore, e la sua
funzione estetica e artistica, Goethe si pone in contrapposizione, in una
“onorevole contesa”, alla visione Newtoniana strettamente scientifica del
fenomeno, ridando dignità sensibile e poetica al fenomeno fisico. In questa
breve esposizione si vuole affrontare la critica Goethiana alla teoria della
luce e del colore di Newton, facendo notare il grido di protesta contro ciò che
Goethe ritiene una insopportabile e inconcepibile tirannia della matematica e della
fisica, nel caso particolare dell’ottica, riconoscendo - attraverso una visione
che possiamo certamente definire puramente romantica del fenomeno - che i
colori sono qualche cosa di vivo e di umano, e che trovano la loro completa
giustificazione fenomenologia in quella macchina fisica che è l’occhio umano e
nel meccanismo della visione, ma anche e soprattutto nella spiritualità e nell’animo
dell’osservatore, con una metrica di giudizio che seppure deve generalizzare in
forma universale, deve tuttavia conservare quella sfumatura che è
l’interpretazione personale.
2. Zur Farbenlehre
Il saggio di Goethe, pubblicato nel 1810, contiene alcune
delle prime descrizioni pubblicate, ad esempio, su fenomeni come ombre colorate,
rifrazione e aberrazione cromatica. Tale scritto esercitò una forte influenza
su numerosi artisti, sulla pittura di Philipp Otto Runge (1777 – 1810), Joseph
Mallord William Turner (1775 – 1851), i Pre-Raffaeliti, Wassily Kandinsky (1866
– 1944), Paul Klee (1879 – 1940), e molti altri, e trovò anche un ampio
interesse e forte curiosità in studiosi di differenti discipline quali filosofi
e fisici; tra i filosofi, Arthur Schopenhauer (1788 – 1860) – che all’età di 28
anni pubblicò un interessante trattato sulla visione dei colori (Über
das Sehn und die Farben) -, Ludwig Wittgenstein (1889 – 1951), Rudolf
Steiner (1861 – 1925), tra i fisici Thomas Johann Seebeck (1770 – 1831),
Hermann von Helmholtz (1821 – 1894), Werner Heisenberg (1901 – 1976), e infine
tra i matematici Kurt Gödel (1906 – 1978) e Mitchell Feigenbaum (1944 - ).
Il libro di Goethe è uno studio sulla percezione del colore
che si pone in contrapposizione alla teoria scientifica di Isaac Newton, e che
lo stesso autore tedesco relega nell’ambito delle verifiche sperimentali dei
fenomeni di percezione sensitiva. Il tema affrontato da Goethe non riguarda il
lato ‘meccanicistico’ dell’argomento, il colore come fenomeno di oscillazione
elettro-magnetica piuttosto che pigmento chimico-fisico, quanto piuttosto la
percezione fisico-sensoriale del fenomeno da parte dell’uomo, ponendo una
differenza sostanziale tra l’oggetto fenomenico, lo spettro ottico, così come
era stato osservato da Newton, e quello percettivo- sensoriale del colore
conoscibile nell’esperienza attraverso i sensi, tema che sarà poi oggetto di
studio da parte di Wittgenstein [2] nella sua esegesi del
testo di Goethe. Un’anticipazione della metodologia fenomenologica, come osserva
Giulio Carlo Argan (1909 - 1992) nella prefazione alla Farbenlehre [3] del poeta tedesco.
Goethe espone la propria teoria riguardante i colori,
analizzando le proprietà, le caratteristiche e i fenomeni con cui essi si
manifestano. Nella prima Sezione parla dei colori fisiologici e di quelli
patologici che riguardano soprattutto la luce e l’oscurità e gli effetti che
provocano sull’occhio; per esempio le immagini, le ombre colorate, e per quanto
riguarda i primi gli aloni soggettivi, mentre in merito ai secondi si limita
solo a una descrizione di ciò che può essere conosciuto esperienzialmente.
Nella seconda e terza Sezione distingue i colori fisici (suddivisi in diottrici,
catottrici ossia relativi alla riflessione della luce, parottici, ossia relativi
a una visione extra-retinica, epottici di carattere metafisico) da quelli
chimici analizzando, per esempio, fenomeni come la rifrazione, anche in assenza
di manifestazione di colore, la fissazione e la trasmissione del colore, le
immagini grigie e colorate, l’acromaticità e l’ipercromaticità; la Sezione
quarta è dedicata al ‘cerchio dei colori’ (energia, determinazione, mescolanza,
intensificazione, compiutezza della manifestazione, scomparsa e durata del
colore); nella sezione successiva del libro (Sezione quinta) espone infine le
proprie considerazioni circa i rapporti di prossimità con altre discipline
(filosofia, matematica, tecnica della tintura, fisiologia e patologia, storia
naturale, fisica generale e teoria del suono) e, infine, nella Sezione sesta
tratta degli effetti sensibili-morali e storico-culturali del colore.
La nota che introduce la posizione di Goethe è illustrata in
questa osservazione al pensiero di Newton che nel suo trattato sull’ottica del
1704 [4] aveva mostrato che il
bianco, in sostanza il colore/non-colore, contempla in sé tutti i colori
componenti la gamma e che questo fenomeno è visibile quando un fascio di luce
diretta attraversa un prisma. Goethe era convinto che tutti i colori fossero
contenuti nella luce, e non aveva alcun minimo motivo per dubitare di questo,
tuttavia, scrive, a questo proposito: «Ma come io rimasi stupito, come
guardando un muro bianco attraverso il prisma, esso era rimasto bianco! Che
solo soltanto osservando da qualche zona buia, esso mostrava un certo colore,
poi finalmente, attorno al davanzale della finestra tutti i colori brillavano
... Non ci volle molto tempo che io capii che c’era qualcosa di significativo
sul colore che doveva essere compreso, e io ho parlato d’istinto ad alta voce,
[dicendo] che gli insegnamenti di Newton erano falsi» [5]. La prova esperienziale
di Goethe lo illumina sulla necessità di definire il confine tra il chiaro e lo
scuro, quella linea immaginaria che unisce due fenomeni antitetici per formare
il colore.
Secondo Goethe, il fatto che non si percepiscono i colori in
assenza di luce non significa che i colori siano i componenti della luce
bianca. L’occhio percepisce i colori, ma non lo spazio ossia la luce che li
contiene, dunque si ha una soggettività percettiva, una arbitrarietà nella
percezione del fenomeno conseguenza di un processo di interpretazione
fenomenologica da parte della mente umana. Goethe afferma che Newton aveva
commesso un errore nell’esperimento del prisma ottico [6], e nel 1793 il poeta
tedesco aveva formulato le sue argomentazioni nel saggio Über Newton Hypothese der
diversen Refrangibilität [7], cominciando ad
affrontare il problema da un altro punto di vista e rimarcando l’importanza
dell’aspetto fisiologico dei colori [8]. Nell’introduzione
storica al suo saggio, Goethe ricorda che già il matematico francese Louis
Bertrand Castel (1688 - 1757), nel 1740, aveva pubblicato una forte critica
alla descrizione dello spettro dei colori da parte di Newton [9], mostrando che la
sequenza dei colori divisi dalla ‘mediazione’ del prisma dipende dalla distanza
dal prisma stesso, e sottolineando quindi che la teoria dello scienziato
inglese era sostanzialmente basata sull’osservazione di un caso particolare [10]. Una posizione forte
quella di Castel, peraltro ripresa da Goethe il quale nega che la luce incolore
possa produrre colori: «La teoria che abbiamo enunciato contro questa [quella
di Newton, n.d.t.] inizia con la luce
incolore, e si avvale di condizioni esterne, in grado di produrre fenomeni di
colore; e riconosce valore e dignità a queste condizioni. Non è necessario attribuire
lo sviluppo dei colori dalla luce, ma piuttosto cercare di dimostrare con
innumerevoli esempi che il colore è prodotto dalla luce ma anche da quello che
a essa si oppone [il buio, n.d.t.]» [11]. Come abbiamo accennato,
la critica di Wittgenstein fu feroce: «Goethe’s theory of the constitution of the colours of the spectrum has
not proved to be unsatisfactory theory, rather it really isn’t a theory at all.
Nothing can be predicted with it. It is, rather, a vague schematic outline, of
the sort we find in James’s psychology. Nor is there any experimentum crucis which could decide for or against the theory»
[12].
La cosiddetta “teoria” di Goethe è, tuttavia, una forma
interpretativa di un fenomeno fisico legata a fattori conoscitivo-sensoriali
volti a una interpretazione immaginativo-simbolica. L’intento di Goethe è,
infatti, «ritrarre piuttosto che spiegare» [13]. Goethe colleziona prove
sperimentali a supporto di una sua visione del colore che va oltre il fatto
strettamente scientifico, e dunque tralascia l’analisi dei fenomeni fisici come
le lunghezze d’onda o le particelle, senza la necessità di addivenire a un
unico experimentum crucis che potrebbe provare o confutare la sua teoria, ma si propone di
cercare attraverso altre forme interpretative il carattere essenziale del
colore. Come scrive Seamon [14] «il punto cruciale della
sua teoria del colore è [soprattutto] la sua fonte esperienziale», un “delicato
empirismo” (zarte Empirie). Infatti,
l’appunto principale che Goethe muove a Newton è quello di «fidarsi della
matematica invece che delle sensazioni del suo occhio», e afferma che è
necessario rimanere fedeli alla percezione senza ricorrere a spiegazioni
fisico-matematiche della realtà naturale, in quanto i fenomeni stessi sono la
teoria. Questa impostazione teoretico-sensoriale-esperienziale suscitò la
vemente critica di Schopenahuer. Il filosofo tedesco sottolineò come il lavoro
di Goethe fosse solo una raccolta di dati, come peraltro è citato nel titolo
della sua opera; una raccolta importante, completa e rilevante, un materiale cospicuo
per procedere alla formulazione di una teoria del colore ma nulla di più. Schopenhauer
rimarcò ancora che Goethe non ha fornito una vera spiegazione della natura
essenziale del colore, ma in realtà solamente postulato come avviene un
fenomeno, una presentazione sistematica dei fatti, che ci racconta come nasce
il colore, non quello che è, e si ferma a questa unica caratterizzazione. Questo,
peraltro, era stato affermato dallo stesso Goethe che, nel suo saggio del 1772
[15], aveva scritto che l’esperimento
è mediatore tra soggetto e oggetto sottolineando come l’essere umano stesso,
nella misura in cui fa buon uso dei suoi sensi, dà la più esatta descrizione di
un fenomeno fisico. A titolo di esempio si rileva che, a differenza dei suoi
contemporanei, Goethe non vede il buio come assenza di luce, ma piuttosto come
l’opposto che deve interagire con essa; in questa contrapposizione buio-luce,
il colore diventa lo strumento di interazione che ne stabilisce la gradazione,
e le ombre sono parte della luce stessa. Secondo Goethe, la luce è la più
semplice, più indivisa, più omogenea cosa che noi conosciamo e pertanto si deve
per necessità confrontare con il buio, e pertanto egli caratterizza il colore come
una combinazione dinamica di buio e luce. L’oscurità è un nulla completo, la
luce non trova resistenza nelle tenebre, ma l’oscurità può indebolire la luce,
come la luce può limitare l’energia del buio [16]. «Anche qui possiamo
dire che un bianco che si scurisce, che si intorbida, diviene giallo; il nero
che si schiarisce diviene invece azzurro» [17].
3. «La chiarezza è una giusta distribuzione di ombre e di luci»
«... essere stato l’unico del mio secolo che ha visto chiaro
in questa difficile scienza dei colori, ebbene sì, di questo vado fiero, e sono
cosciente di essere superiore a molti saggi» [18]. La comprensione della
verità è l’obiettivo di Goethe. Egli afferma che esistono ambiti della
conoscenza che sfuggono, a causa della propria natura intrinseca ed estrinseca,
e alla loro interpretazione attraverso lo strumento della matematica; uno di
questi è proprio l’interpretazione del fenomeno dei colori: «Io riverisco i
matematici … però non approvo che si voglia far abuso delle cose che non
appartengono al loro campo e dove questa nobile scienza diviene assurda, come
se esistesse solo ciò che può essere dimostrato matematicamente!» [19] La questione dell’interpretazione
fenomenologica dei colori secondo Goethe mette in evidenza una sua personale
visione del mondo illuminista, che non può prescindere di fatto da una
mediazione romantica della verità di ragione, la prosa del fenomeno fisico si
muta in poesia.
Il colore deve essere compreso globalmente nella sua
interezza di fenomeno percettivo e non solamente fisico-matematico, e dunque
non solo analiticamente, pertanto il fatto visuale è un fenomeno
sostanzialmente sensuale. La percezione dei colori dipende dall’equilibrio che
esiste tra luminosità e oscurità: nell’oscurità tutto è nero e viceversa niente
si può distinguere se la luminosità è eccessiva. L’origine dei colori sta nell’oscurità
e nella luce, il giallo e il blu sono i colori che si trasformano e consentono
di arrivare alla nascita del colore “finale”, il rosso, per intensificazione di
ognuno di essi [20].
Il rosso, è il risultato dell’oscuramento del giallo e l’attenuazione verso il
chiaro del blu. I tre colori intermedi (il verde, il viola, l’arancio)
completano la gamma cromatica dello spettro dei colori e sono la trasformazione
dei tre colori principali; infatti, il giallo, proviene dalla luce, e l’azzurro
dall’oscurità; essi si mischiano per dare il verde e si intensificano per dare
l’arancio e il viola, per giungere infine al rosso. Si tratta di quella che si
potrebbe affermare essere una “teoria genetica” dei colori, che Goethe oppone
al metodo sperimentale di galileiana impostazione e applicato da Newton. La
scomposizione spettrale della luce bianca in sette colori essenziali, tra i
quali egli aggiunge l’indaco, quasi a voler scandire una analogia tra la gamma
cromatica dei colori e quella musicale delle note. Goethe, tuttavia, esclude
ogni possibile equivalenza tra colore e suono «Colore e suono non si possono in
alcun modo paragonare. … Entrambi sono azioni elementari e generali, operanti
secondo la legge universale del dividere e del tendere alla riunione, del
dirigersi ora verso l’alto ora verso il basso, dello spostarsi ora su questo
ora su quel lato della bilancia, ma su lati interamente diversi, in modi
diversi, poggiando su elementi intermedi diversi, rivolti a sensi diversi. … la
musica … nasce per vie empiriche insolite, casuali, matematiche, estetiche e
geniali» [21],
ma nondimeno la sua Farbenlehre svolse un ruolo importante
nella teoria e nella pratica musicale, come ha rilevato Gareth Cox [22] nell’opera del
compositore austriaco Anton Ebern (1883 – 1945). La scomposizione spettrale è,
ancora secondo il poeta tedesco, la sintesi esperienziale dell’opera pittorica,
come per esempio nella pittura di Leonardo da Vinci dove si distinguono
fortemente i colori della luce (il giallo e il rosso) da quelli dell’ombra (l’azzurro
e il verde). Goethe oppone alla sperimentazione empirica strumentale della
luce, la percezione e l’osservazione sensoriale “naturale” degli oggetti e
delle loro tonalità cromatiche, sottoposti alla luce. Un ‘metodo’ di
interpretazione del fenomeno fisico più legato alla obiettività che alla
soggettività, e basato dunque sulla qualità della percezione. L’obiettività
della percezione è naturale e universale, la soggettività della percezione è invece
strumentalizzata e conseguenza della ‘cultura’ scientifica che chiede sempre e
unicamente conferme strumentali al fine di affermare la sua “universalità” e la
sua “obiettività” anche se in disaccordo con la percezione comune [23].
Gli studi di Goethe sul colore partono da una serie di
esperimenti che prendono in esame gli effetti ‘torbidi’ provocati nell’aria da agenti
come la polvere e l’umidità, e come questi Urphänomen (fenomeni
primari) intervengono sulla percezione della luce e del buio. La luce osservata
attraverso un mezzo torbido appare di colore giallo, e le tenebre osservate
attraverso un mezzo illuminato sembrano ai nostri occhi di colore blu. L’alto
livello di luce, come ad esempio quello del sole è, secondo Goethe, per la
maggior parte incolore. Ma se noi osserviamo questa luce attraverso un mezzo leggermente
denso essa ci appare gialla. Se, poi, la densità di tale mezzo aumenta vedremo
la luce gradualmente assumere un colore giallo-rosso, che aumenta fino a
raggiungere la tonalità rubino, rosso intenso, limpido e brillante. Se d’altro
canto il buio è visto attraverso un mezzo semitrasparente, ad esempio
illuminato da una fonte di luce che lo attraversa, allora ci appare di colore
blu. Questo colore diventa più leggero e più pallido con l’aumentare della
densità del fluido, ma al contrario ci apparirà più scuro e più profondo all’aumentare
della trasparenza del mezzo. In un leggero stato di penombra in trasparenza
assoluta, supponendo sempre un mezzo perfettamente incolore, il blu profondo si
avvicina al viola. Quando osserviamo la luce attraverso un prisma, l’orientamento
del confine luce-buio rispetto all’asse del prisma diventa allora significativo
per l’interpretazione del fenomeno. Quando osserviamo il colore bianco sopra un
confine buio, possiamo riconoscere che la luce estende la sua gamma di colori
dal blu-viola al “buio”, e se gli associamo il significato latino del termine “burius” diventa proprio rosso scuro. Viceversa,
l’osservazione del buio sopra un contorno chiaro mostra la luce che vira al
colore rosso-giallo, verso il chiaro. Il confine di percezione diventa allora fondamentale,
per Goethe, per la creazione dello spettro dei colori; lo spettro risulta
pertanto un fenomeno composto dalle condizioni ambientali, dalle differenti
gradazioni di ombre, e di grigi, che incidono sull’intensità dei colori stessi e,
a seconda del contorno luminoso rispetto al quale sono osservati, la percezione
del fenomeno da parte dell’occhio muta sensibilmente.
Poiché il fenomeno del colore si basa sull’adiacenza tra
luce e buio, ci sono allora due modi per produrre uno spettro luminoso: con un
fascio di luce in una stanza buia, e con un fascio scuro (cioè un’ombra) in una
stanza piena di luce. Goethe ha registrato la sequenza dei colori proiettati a
varie distanze da un prisma per entrambi i casi, e ha osservato che i bordi
gialli e blu sono più vicini al lato illuminato, mentre i bordi rossi e viola
sono più vicini al lato buio. A una certa distanza questi si sovrappongono e si
ottiene lo spettro dei colori di Newton. Quando i bordi si sovrappongono in uno
spettro luminoso si ottiene il colore verde; quando invece si sovrappongono in
uno spettro scuro non si producono colori spettrali. Con uno spettro di luce
che esce dal prisma, Goethe osserva un raggio di luce circondato dall’oscurità
e i colori giallo-rosso che si manifestano lungo il bordo superiore, mentre i
colori blu-violetto si osservano lungo il bordo inferiore. Il colore verde si
riscontra, invece, nel mezzo del fascio luminoso solo quando i bordi
blu-violetto si sovrappongono ai bordi giallo-rosso. Con uno spettro scuro (ad
esempio un’ombra circondata di luce), si osservano i colori viola-blu lungo il
bordo superiore, e rosso-giallo lungo il bordo inferiore. Goethe afferma che
quando l’occhio umano vede un colore è, per sua natura, immediatamente e
spontaneamente eccitato dal fenomeno visivo, e contemporaneamente percepisce un
altro colore, che con quello originale, comprende tutta la scala cromatica.
Goethe propone una ruota dei colori simmetrica. Il cerchio
cromatico è disposto in modo generale secondo l’ordine naturale e i colori
diametralmente opposti tra loro sono quelli che evocano reciprocamente gli uni agli
altri. Pertanto, il giallo richiama il viola, l’arancio il blu; il viola il verde,
e viceversa; così tutte le gradazioni intermedie reciprocamente richiamano l’una
l’altra; il colore più semplice quello composto, e viceversa.
Alcuni autori moderni elogiano Goethe per non aver tenuto
conto dei colori non-spettrali: «For Newton, only spectral colors could count as fundamental. By
contrast, Goethe’s more empirical approach led him to recognize the essential
role of (non-spectral) magenta in a complete color circle, a role that it still
has in all modern color systems» [24]. L’intento di Goethe è
stato quello di studiare gli effetti del colore sulla fisiologia degli individui
introducendo una nuova disciplina la ‘psicologia del colore’. In quest’ottica egli
associa nella sua ruota dei colori le qualità estetiche del colore stesso: il
rosso con la bellezza, l’arancione con la nobiltà, il bene con il giallo, il
verde con l’utile, il blu con la parola, e il viola con il superfluo [25]. In questo modo il
colore non diventa solo percezione di un fenomeno fisico, ma si traduce in un
tentativo di interpretazione dell’animo e della psiche dell’uomo.
4. Goethe versus Newton
Le teorie del colore enunciate alla fine del diciassettesimo
secolo erano sostanzialmente basate su tre modelli fenomenologici differenti:
Keplero affermava che i colori erano una mescolanza di luce e ombra, René
Descartes (1596 - 1650) aveva introdotto il concetto di vis luminis prodotta dalla rotazione di globuli aetherei coerentemente alla sua teoria dei vortici e
nell’opera Les Météores [26], riprendendo la teoria di
Teodorico di Freiberg (c. 1250 – c. 1310), aveva immaginato il fenomeno
dell’arcobaleno come una conseguenza del cambiamento di direzione della luce
nel passaggio da un mezzo all’altro, senza tuttavia dare una spiegazione
scientifica alla formazione dello spettro dei colori.
Fig. 1 a,
b, c – (a) Il cerchio dei colori di Newton, Libro I, Parte II, Tavola III, fig.
11 [27],
(b) Il cerchio dei colori di Goethe; (c) La sfera dei colori di Runge [28].
Secondo Descartes le particelle luminose spinte dal centro
di un vortice verso l’esterno ruotano e tale rotazione è percepita attraverso
il colore: veloce come rosso, moderata come giallo e lenta come blu. Quindi,
secondo il filosofo francese, la formazione dei colori dipendeva da una
'trasformazione' di tipo meccanicistico della materia, la luce, in
corrispondenza dell’urto obliquo sulla superficie di separazione tra due mezzi.
Robert Hooke (1635 - 1703), invece, sosteneva che la propagazione della luce
avvenisse attraverso un moto vibratorio di tipo periodico - al contrario di
Newton -, e tale moto era la causa della formazione dei colori. Hooke immagina
un sistema di vibrazioni prodotte dall’eccitazione dei corpi luminosi
nell’etere, in analogia con quello che avviene per le onde sonore che causano
la sensazione di luminosità quando colpiscono l’occhio. La luce, pertanto, deve
essere un susseguirsi di impulsi sferici che si muovono in linea retta e
passando da un mezzo all’altro, ad esempio dall’aria all’acqua, cambiano di
direzione e danno la sensazione del colore. Esiste una differenza sostanziale
tra la teoria del colore di Goethe e la teoria che, enunciata da Newton, si è
consolidata nell’arco di circa un secolo [29]. La differenza
sostanziale sta nei confini della ricerca: quella di Newton e dei suoi
successori è stata basata sul metodo scientifico e assegna alla luce stessa la
caratteristica fondamentale di matrice del colore, escludendo ogni valenza
sensoriale da parte dell’uomo; Goethe, viceversa, ha fondato la sua teoria su
fenomeni esperienziali basati sulla percezione del fenomeno fisico da parte
dell’occhio umano [30]. Si hanno così due
distinte visioni epistemologiche del problema: una strettamente scientifica
(Newton), una prettamente esperienziale (Goethe) [31]. La critica Goethiana
alla teoria Newtoniana è, peraltro in questi termini, molto dura: «[la] teoria
di Newton … in virtù della considerazione di cui gode, ha ostacolato fortemente
una libera visione delle manifestazioni dei colori» [32].
Newton afferma che la luce bianca è composta dalla somma dei
singoli colori (fenomeno scientificamente dimostrabile), mentre Goethe immagina
che il colore derivi dall’interazione tra luce e buio (attraverso considerazioni
sui fenomeni visivi, sulle percezioni umane e non dimostrabili
scientificamente).
Secondo Newton, il prisma ottico che consente di verificare
lo spettro dei colori è uno strumento funzionale all’osservazione ma
irrilevante rispetto alla fenomenologia o l’esistenza di colore; come esistono
tutti i colori nella luce bianca, il prisma è solo uno strumento che non
influisce sulla natura stessa del colore. Goethe, invece, cerca di dimostrare
che se la luce passa attraverso un mezzo torbido come il prisma si ha un’alterazione
del colore e dunque la materia è un fattore integrante nella formazione del
colore. Riducendo sensibilmente il fascio di luce che attraversa il prisma,
Goethe osserva che all’aumento dell’ampiezza del fascio luminoso non corrisponde
più lo spettro dei colori. Egli osserva solo bordi rosso-giallo e bordi blu-ciano
intercalati tra loro dal bianco, e lo spettro si forma solamente se questi
bordi sono abbastanza vicini da sovrapporsi, questo perché il fenomeno dello
spettro luminoso dei colori deriva dall’interazione tra i bordi chiari e quelli
scuri.
Newton spiega la formazione del colore del bianco come
conseguenza della quantità complessiva diversa di rifrazione; i raggi luminosi si
mescolano insieme per creare un unico colore uniforme, il bianco appunto, verso
il centro del fascio luminoso, mentre i bordi non beneficiano di questa miscela
piena e appaiono con maggiori o minori componenti di rossi e di blu [33]. Sia Newton che
Christiaan Huygens (1629 – 1695) avevano definito il buio come assenza di luce.
Thomas Young (1773 – 1829) e Augustin-Jean Fresnel (1788 – 1827) avevano invece
combinato la teoria delle particelle di Newton con la teoria delle onde di
Huygens per dimostrare che il colore è la manifestazione visibile della
lunghezza d’onda della luce. I fisici attribuiscono oggi alla luce il fenomeno
di dualità onda-particella in relazione al moto corpuscolare e ondulatorio
delle particelle.
La critica di Goethe al ‘metodo’ scientifico di Newton è
forte: la riduzione della luce a un mero movimento meccanico di particelle,
misurabile quantitativamente mediante il prisma, è per lo
scrittore/sperimentatore tedesco del tutto erronea. Secondo Goethe, l’errore di
Newton sta nel ‘dimenticare’ il ruolo svolto dai nostri sensi, dalla nostra
percezione e dalla nostra capacità di elaborare il dato visivo-sperimentale; lo
studio del fenomeno ottico, della visione della luce e dei colori, deve mettere
in evidenza il ruolo attivo dell’occhio nella percezione del fenomeno stesso e
rimarca che la luce non è una semplice ricezione di qualcosa esterno all’occhio
stesso che il senso percepisce asetticamente. Non è una questione semplicemente
meccanicistica legata al fatto fisico in sé, ma si tratta di un fenomeno che
deve trovare un’intima connessione, un punto di equilibrio, tra soggetto e
oggetto, tra uomo e fenomeno fisico. La relazione tra soggettività e
oggettività del conoscere, nei termini Kantiani della questione, nell’opera di
Goethe mostra il punto di passaggio tra la cultura e la visione illuministica
del mondo, e quella romantica. «La Farbenlehre è forse il primo
disegno di una psicologia della percezione, di una Gestaltpsychologie»
[34]. La percezione è
immaginazione, raccolta di informazioni, immagini, memoria acquisita e
ri-elaborata dall’occhio e dalla mente umana come ad esempio avviene per i colori
fisiologici, illusori, immaginari, ma secondo Goethe strumentali ai fini della
percezione corretta del colore; così «si scopre che la teoria della percezione
è in realtà la storia della percezione: se già la permanenza sulla rètina
faceva pensare ad una memoria ottica, la capacità imagopoietica identifica
l’occhio con l’immaginazione» [35].
5. Conclusioni
La ricerca di Goethe non ha ovviamente un carattere di
scientificità nel senso attuale del termine, tuttavia ha influenzato sensibilmente
le arti, soprattutto quelle pittoriche, per la sua caratterizzazione legata
alla sensibilità umana nella percezione del colore. Tale percezione da parte
dell’occhio e della mente umana diventa per Goethe strumento di interpretazione
e caratterizzazione del colore, attraverso il fenomeno della luce. Goethe è
stato inizialmente indotto a occuparsi dello studio del colore dalle numerose
declinazioni di tonalità di colori che si riscontrano nella pittura. Durante il
suo primo viaggio in Italia (1786-1788), Goethe osserva che gli artisti sono in
grado di percepire il fenomeno del colore, ma non di stabilire delle regole per
la sua caratterizzazione, lasciata all’intuizione e alla sensibilità dell’artista
stesso. Goethe avverte questo fatto come una mancanza, una lacuna nella
‘progettualità’ della scelta della gradazione colorimetrica, e per questo
motivo vuole enunciare delle regole per definire l’uso artistico del colore [36].
L’obiettivo diventa sostanziale quando diversi artisti, tra
i quali Runge, cominciano a interessarsi ai suoi studi sul colore [37]. Dopo la traduzione in lingua
inglese avvenuta nel 1840 da parte di Charles Eastlake (1793 – 1865), la teoria
sui colori di Goethe diventa uno dei testi di riferimento nel mondo dell’arte,
particolarmente tra i pre-raffaelliti. Turner studiò il lavoro dello studioso
tedesco e molti riferimenti a quest’opera si possono trovare nei titoli di
alcuni suoi dipinti [38], e Kandinsky la considerò
una delle opere più importanti sull’argomento [39].
Il saggio di Goethe si oppone alla ‘scientificità’ della
fisica sperimentale di Newton, alla sua teoria cromatica del colore dedotta da
osservazioni sperimentali e deduzioni logico-speculative, rivendicando la
centralità dei sensi dell’uomo nella conoscenza dei fenomeni naturali. Lo scrupolo
minuzioso che Goethe mette nell’osservazione dei fenomeni legati alla luce e al
colore si unisce a uno spirito filosofico di matrice illuminista, associato
comunque a una visione romantica e a un amore per i fenomeni esperienziali
della natura con profonde declinazioni poetiche. La teoria dei colori è un
esempio luminoso di unità della conoscenza e del sapere, che nello spirito e
nell’intendimento dello studioso tedesco deve superare le barriere fra
letteratura e scienza e diventare così un modello per la costruzione di una
nuova letteratura scientifica.
La novità della concezione scientifica di Goethe consiste
nel formulare una posizione culturale in opposizione al modello che allora
stava diventando dominante, che si rifà alla Rivoluzione scientifica del XVII
secolo. Secondo il pensiero di Goethe il compito della conoscenza non è quello
di conquistare e soggiogare la natura alla volontà dell’uomo, nei termini
formulati da Francesco Bacone (1561 – 1626) e descritti nella proposizione
«sapere è potere», ma altrimenti di porsi in una condizione di osservazione e
ascolto della Natura e dei suoi fenomeni. La posizione dello scienziato,
secondo Goethe, deve essere quella di mettersi in sintonia con la Natura stessa
e di ritrovare l’unità perduta di tutte le cose, nei termini probabilmente
delle dottrine mistiche di Emanuel Swedenborg (1688 – 1772), ma anche del
panteismo di Baruch Spinoza (1632 – 1677).
La polemica contro Newton sulla natura della luce e dei
colori è il caso esemplare che mostra una nuova concezione delle finalità e
della stessa essenza del sapere e della ricerca scientifica. Il colore non è
semplicemente una manifestazione della luce, che l’osservatore riceva
passivamente dall’esterno, ma è anche e soprattutto una elaborazione dell’occhio
e, quindi, della mente umana, e si configura nella armonia e completezza del
rapporto uomo-Natura contro una scienza newtoniana oppositiva, aggressiva,
utilitarista e riduzionista al fatto meramente sperimentale di un fenomeno che
invece attraversa simbologia e spiritualità del nostro essere. Goethe ritiene
inammissibile ridurre la fenomenologia dei colori a solamente una
manifestazione ottica di un fenomeno fisico. La percezione dei colori è una
successione di attimi nei quali l’uomo attraverso l’occhio assiste a un
fenomeno e lo elabora con la mente percependo le differenze e le distinzioni.
La posizione di Goethe è in forte contrapposizione ad una
visione strettamente matematica della scienza, o meglio, contro la pretesa
della matematica di essere l’unico criterio di verità nella conoscenza della
Natura. Contro la “nuova scienza” Galileiana del secolo XVII, ma anche contro
il razionalismo cartesiano, che aveva offuscato lo stesso Spinoza quando questi
aveva preteso di spiegare perfino l’etica con i procedimenti logici che sono
propri della geometria. La ‘scienza’ di Goethe deve essere in grado di
riconoscere la bellezza della Natura e dei suoi fenomeni attraverso una visione
organica, armonica, spirituale; una posizione di umiltà ma anche di audacia
speculativa nei confronti della conoscenza e dei saperi. La scienza non deve
essere solo quantitativa, pragmatica, utilitaristica, riduzionista e
meccanicista, ma deve essere una scienza illuminata da una vivida luce che
proviene dal nostro essere, dalla nostra spiritualità, dai nostri sentimenti.
In conclusione, citando Plotino (203/205 – 270): «La
bellezza di un colore … nasce da una forma che domina l’oscurità della materia
e dalla presenza nel colore di una luce incorporea, che è ragione e idea» [40]; «Mai un occhio vedrà il
Sole senza essere divenuto simile al Sole, né un’anima contemplerà la bellezza
senza essere divenuta bella» [41] e per aprire uno
spiraglio di ‘autorevolezza’ allo scritto di Goethe, rifuggendo da quello che è
stato considerato “un serio infortunio” nell’opera dello scrittore tedesco, la
sua Teoria dei colori [42], rimarca come «I colori
sono azioni della luce, azioni e passioni» [43].
Note e bibliografia
[1] Goethe, Johann
Wolfgang von 1810. Zur Farbenlehre. Tübingen: Cotta.
[2] Si tratta di una
raccolta di note di Wittgenstein sulla teoria dei colori di Goethe, in
contrapposizione al pensiero del letterato tedesco e con la volontà di
formulare un tentativo di chiarimento dell’uso del linguaggio sul colore, distinguendo
tra l’aspetto scientifico del fenomeno, come sviluppato da Newton, e la
fenomenologia del colore di Goethe. Wittgenstein, Ludwig 2007. Bemerkungen
über die Farben (edizione consultata, Wittgenstein, Ludwig 1978. Remarks on Colour / Bemerkungen
über die Farben. Berkeley and Los Angeles: University of California Press. Per
maggiori approfondimenti vedi: McGinn,
Marie 1991. Wittgenstein’s Remarks on Colour. Philosophy, 66 (258): 435–453.
[3] Goethe, Johann
Wolfgang 1974. Goethe Farbenlehre.
Köln: M. Du Mont Scahuberg (ed. ital. La
teoria dei colori. Milano: il Saggiatore, 1973, 2013).
[4] Mandelkow, Karl Robert
1968. Goethes Briefe. Vol. 2: Briefe der Jahre 1786-1805. Hamburg:
Christian Wegner, p. 528. «Das
zentrale Axiom von Newtons Farbentheorie, daß in dem weißen, farblosen Licht
alle Farben enthalten seien (l’assioma centrale della teoria dei colori
di Newton afferma che ci sono tutti i colori nel bianco, la luce [è] incolore) ».
[5] «Aber wie verwundert war ich, als die durch's
Prisma angeschaute weiße Wand nach wie vor weiß blieb, daß nur da, wo ein
Dunkles dran stieß, sich eine mehr oder weniger entschiedene Farbe zeigte, daß
zuletzt die Fensterstäbe am allerlebhaftesten farbig erschienen, indessen am
lichtgrauen Himmel draußen keine Spur von Färbung zu sehen war. Es bedurfte
keiner langen Überlegung, so erkannte ich, daß eine Gränze nothwendig sey, um
Farben hervorzubringen, und ich sprach wie durch einen Instinct sogleich vor
mich laut aus, daß die Newtonische Lehre falsch sey». Goethe, Johann
Wolfgang von 1887-1919. Goethes Werke. Weimar: Hermann Böhlau. II. Abtheilung:
Naturwissenschaft lichte Schriften, Bd. 4, pp. 295–296.
[6] Rupprecht, Matthaei 1949. Über die Anfänge von
Goethes Farbenlehre. In: Jahrbuch der
Goethe-Gesellschaft, 11, 1949, p. 259.
[7] Mandelkow, Karl Robert
1968. Op. cit., p. 528.
[8] Mandelkow, Karl Robert
1968. Op. cit., p. 553.
[9] Castel, Louis-Bertrand 1740. Optique des couleurs, fondée sur les simples observations et tournée
surtout à la pratique de la peinture, de la teinture, et autres arts coloristes.
Paris: Briasson.
[10] Thomas L. Hankins and Robert J. Silverman 1995.
Instruments and the Imagination.
Princeton: Princeton University Press.
[11] «Die Lehre dagegen, die wir mit Überzeugung aufstellen, beginnt zwar auch
mit dem farblosen Lichte, sie bedient sich äußerer Bedingungen, um farbige
Erscheinungen hervorzubringen; sie gesteht aber diesen Bedingungen Wert und
Würde zu. Sie maßt sich nicht an, Farben aus dem Licht zu entwickeln, sie sucht
vielmehr durch unzählige Fälle darzutun, dass die Farbe zugleich von dem Lichte
und von dem, was sich ihm entgegenstellt, hervorgebracht werde»; Mandelkow, Karl Robert
1968. Op. cit., p. 528.
[12] «Die Goethesche Lehre von der Entstehung der
Spektralfarben ist nicht eine Theorie, die sich als ungenügend erwiesen hat,
sondern eigentlich gar keine Theorie. Es läßt sich mit ihr nichts vorhersagen.
Sie ist eher ein vages Denkschema nach Art derer, die man in James’s
Psychologie findet. Es gibt auch kein experimentum crucis, das für, oder gegen
diese Lehre entscheiden könnte». Wittgenstein, Ludwig 2007: op. cit., p. I-70, IIe. Cfr.:
Wittgenstein, 1978.
[13] Goethe, Johann
Wolfgang von 1995. Scientific Studies. In: Miller, Douglas. The Collected Works, Vol. 12, p. 57. Princeton: Princeton
University Press.
[14] Seamon, David e Arthur Zajonc (eds.) 1998. Goethe’s Way of Science: A Phenomenology of
Nature. Albany: State University of New York Press.
[15] Goethe, Johann
Wolfgang von 1792. Trad. inglese: The experiment as mediator between subject and object. In: Goethe. Scientific studies edited and
translated by Douglas Miller, vol. 12. New York: Suhrkamp Publisher, 1988.
[16] Steiner, Rudolf 1897. Goethes
Weltanschauung. Wiemar:
Emil Felber.
[17] Goethe, 2013, op. cit., § 502, p. 134.
[18] Conversations de Goethe avec Eckermann
(intervista del 19 febbraio 1829), trad. francese di Jean Chuzeville (1930),
Paris, Gallimard 1949; 1988, p. 285.
[19] Gespräche mit Goethe in den
letzen Jahren seines Lebens 1823-1832. Leipzig: Brockhaus, vol. I
& II 1836; Magdeburg: Heinrichshofen, vol. III 1848. Per la citazione si è
fatto riferimento alla traduzione francese di Chuzeville del 1930, op. cit., p. 176. Si veda anche l’edizione
a cura di Luca Bianco, con trad. di Ada Vigliani, Conversazioni con Goethe. Torino: Einaudi, 2008.
[20] Cfr. “Vues générales
internes”, in Traité des Couleurs, trad.
francese di Henriette Bideau, Paris: Triades, 1973. L’opera contiene la
prefazione di Rudolf Steiner, del quale si può leggere l’eccellente opera
scritta con “lo spirito” del suo predecessore: La science de l’occulte, trad. francese di H. & R. Waddington,
Paris: Triades, 1976.
[21] Goethe, 2013, op. cit., § 748 e § 750, pp. 185-86.
[22] Cox, Gareth 2004. Blumengruß
and Blumenglöcken: Goethe’s Influence on Anton Webern. In: Byrne, Lorraine (edited by) 2004. Goethe: Musical Poet, Musical Catalyst.
Dublin: Carysfort Press Book, pp. 203-224.
[23] Sulla storia dei
colori, la teoria di Goethe, e sulla distinzione tra colori fisiologici, fisici
e chimici, si veda anche l’articolo di Manlio Brusatin, “Colori (storia
dell’arte)”: «Un’opposizione radicale, di natura non scientifica, nell’ottica
di Newton si manifesta con l’apparizione della Teoria dei colori (Farbenlehre, 1810). In
quest’opera, Goethe si oppone deliberatamente al carattere primario della luce
bianca ed al carattere secondario delle sensazioni cromatiche. Negandogli una
natura astratta, di fatto manifesta il suo interesse per la ricostruzione di
una fisiologia della visione, la quale passa dalla soggettività partecipante di
chi percepisce e l’apprezzamento dei colori fisici confrontati con i nuovi
colori chimici. Per riassumere le posizioni di Goethe, si può dire che lui
avrebbe voluto stabilire un fondamento dialettico per la “forma” della
percezione dei colori, prima di contestare la pretesa unità del bianco
newtoniano. Dato che il colore è indifferentemente legato alla luce e
all’oscurità (il chiaro, bianco, lo scuro, nero), è la sua miscela, il grigio,
che riassume e fonde in se stesso tutti gli altri colori. Goethe spiegherà che
i colori possono essere fisiologici: si tratta di colori soggettivi, il cui
unico intermediario è il soggetto che li percepisce; fisici: colori soggettivi
o oggettivi di intensità variabile e passeggera, che si ottiene per
interposizione di corpi trasparenti o traslucidi; chimici: solo colori
oggettivi, si fissano su corpi e sostanze di diversa natura o sono estratti da
loro» in Encyclopaedia Universalis,
vol. 6, 1997.
[24] Ribe, Neil and Friedrich Steinle 2002.
Exploratory Experimentation: Goethe, Land, and Color Theory. Physics Today, 55 (7), 43.
[25] Goethe, Johann Wolfgang von 1809. Farbenkreis zur Symbolisierung des menschlichen
Geistes- und Seelenlebens“. «Jeder Farbe wird eine menschliche Eigenschaft
zugeordnet (...). Im inneren Ring: rot – ‘schön’, gelbrot – ‘edel’, gelb – ‘gut’,
grün – ‘nützlich’, blau – ‘gemein’, blaurot – ‘unnöthig’».
[26] “Diottrica, Meteore,
Geometria”, in René Descartes, Opere
scientifiche, II, a cura di E. Lojacono. Torino: UTET, 1983.
[27] Newton, Isaac 1704. Op. cit.,
Book I, Part. II, Plate III, Fig. 11.
[28] Runge, Philipp Otto 1810. Farben-Kugel oder Construction des Verhältnisses aller Mischungen der
Farben zueinander, und ihrer vollständigen Affinität, mit angehängtem Versuch
einer Ableitung der Harmonie in den Zusammenstellungen der Farben. Hamburg:
Friedrich Perthes.
[29] Cfr.: Joseph Priestley (1733 - 1804), The history and present state of discoveries
relating to vision, light and colours. London: J. Johnson, 1772.
[30] Lehrs, Ernst
2004. Man or Matter. Introduction
to a Spiritual Understanding of Nature on the Basis of Goethe’s Method of
Training Observation and Thought. Project Gutenberg eBook. Il ruolo
attivo dei sensi nella visione dei colori si rivelò, comunque, una intuizione
scientificamente valida, come dimostrarono i risultati delle ricerche condotte
nell'Ottocento, da Thomas Young (1773 - 1829) e Charles Maxwell (1831 - 1879).
[31] Stephenson, R. H. 1995. Goethe’s Conception of Knowledge and Science. Edinburgh: Edinburgh
University Press.
[32] Goethe, 2013, op. cit., Prefazione, p. 7.
[33] Newton, Isaac 1704. Opticks or, A treatise of the Reflections, Refractions, Inflexions and
Colours of Light, Also Two treatises of the Species and Magnitude of
Curvilinear Figures. London: printed for Sam. Smith, and Benj. Walford,
Printers to the Royal Society.
[34] Argan, Giulio Carlo
2013. In Goethe, Johann Wolfgang 1974. Goethe Farbenlehre. Köln: M. Du Mont Scahuberg (ed.
ital. La teoria dei colori. Milano:
il Saggiatore, 1973, 2013), p. XVII.
[35] Argan, Giulio Carlo
2013, op. cit., p. XVIII.
[36] Sepper, Dennis L. 2007. Goethe contra Newton: Polemics and the Project for a New Science of
Color. Cambridge: Cambridge University Press.
[37] Mandelkow, Karl Robert 1976. Goethes Briefe. Vol. 4: Briefe der Jahre 1821-1832. München: C. H.
Beck, p. 622. «Wie die Anfänge von Goethes Beschäftigung mit der Farbenlehre
veranlaßt waren durch die Frage nach dem Kolorit in der Malerei (...), so war
die Anteilnahme bildender Künstler an seinen Farbenstudien für Goethe eine
hochwillkommene Bestätigung des von ihm Gewollten, wie er sie vor allem von
Philipp Otto Runge erfahren hat».
[38] Bockemuhl, M. 1991. Turner. Köln: Taschen.
[39] Rowley, Alison 2002. Kandinskii’s theory of
colour and Olesha’s Envy. Canadian Slavonic Papers, Vol. 44, No.
3-4, pp. 251-261.
[40] Plotino, Enneadi, I, 6: Sulla bellezza, III.
[41] Plotino, Enneadi, I, 6: Sulla bellezza, IX.
[42] Troncon, Renato 2013. Goethe e la filosofia del colore. Appendice a: Goethe, 2013, op. cit., p. 221.
[42] Troncon, Renato 2013. Goethe e la filosofia del colore. Appendice a: Goethe, 2013, op. cit., p. 221.
[43] Goethe, 2013, op.
cit., Prefazione, p. 5.
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