venerdì 19 giugno 2015

Naturalis materia






Naturalis materia vs materiali innovativi



1Massimo Corradi
1Dipartimento di Scienze per l’Architettura, Scuola Politecnica - Genova, corradi@arch.unige.it



Abstract 

The ancient buildings, up to the time of the revolution ‘technology’ which took place with the introduction of new materials (iron, steel and reinforced concrete ) has always based its ‘materiality’ on the use of natural materials such as stone , brick , lime mortars and pozzolanic, cement mortars (in the sense of Roman caementum), ductile iron, wood, and to the origins of buildings - but otherwise still in use today in many regions of the world (Asia, Africa and Central and South America) - , straw, earth (adobe, pisé, CEB), the latter the most natural, sustainable, environmentally friendly and economical building material, and in many regions of the Far East bamboo.
In the twentieth century after the great season of reinforced concrete and steel materials used both in new buildings and in the speeches of static consolidation of building structures, but also of the listed buildings and monuments, there was, by industry, the development of high-performance metallic materials (steels with high carbon content), polymers, ceramics, composites, etc., not always compatible with those used in ancient buildings and often invasive and non-reversible, especially when they were used in the strengthening of structures, questioning the “sustainability” of restoration and conservation, especially compared to “experimentum crucis” which, in restoration, can be identified with the ‘test of time’.





Il passato in funzione del presente [è] il presente in funzione del passato
[Marc Bloch, 1949].


Introduzione

Il costruito storico, fino alla rivoluzione ‘tecnologica’ avvenuta con l’introduzione dei nuovi materiali (ghisa, ferro, acciaio e calcestruzzo armato) ha sempre fondato la sua ‘materialità’ sull’uso di materiali naturali quali quelli lapidei, i laterizi, le malte di calce, quella pozzolanica, le malte cementizie (nel senso di caementum romano), il ferro dolce, il legno e, alle origini del fabbricare – ma altrimenti in uso ancora oggi in molte regioni del mondo (Asia, Africa e Centro-Sud America) -, la paglia, la terra, quest’ultimo il più naturale, sostenibile, ecologico ed economico materiale da costruzione, e in molte regioni dell’Estremo oriente il bamboo.
Nel XX secolo dopo la grande stagione del cemento armato e dell’acciaio, materiali utilizzati sia nelle nuove costruzioni che negli interventi di consolidamento statico delle strutture edilizie ma anche degli edifici vincolati e monumentali, si è assistito, da parte dell’industria, allo sviluppo di materiali metallici ad alte prestazioni (acciai ad alto tenore di carbonio), materiali polimerici, ceramici, compositi, ecc., ai fini di un loro impiego nelle nuove costruzioni, ma anche negli interventi di restauro e consolidamento statico, anche se questi materiali non sono compatibili con quelli utilizzati nelle costruzioni antiche; viceversa essi si sono dimostrati spesso invasivi e non reversibili, soprattutto quando sono stati impiegati nel consolidamento delle strutture, mettendo in discussione la “sostenibilità” degli interventi di restauro e conservazione, soprattutto rispetto all’experimentum crucis che nel restauro può essere identificato con la ‘prova del tempo’.
Nell’ambito, poi, degli interventi di rinforzo statico e consolidamento strutturale la ‘fantasia’ dei progettisti e la loro pervicacia a ricercare nuove soluzioni strutturali in funzione dei nuovi materiali proposti dall’industria delle costruzioni ha di fatto abbandonato sentieri battuti dall’arte del costruire per addentrarsi nel fitto bosco della non-conoscenza con la presunzione di giustificare le soluzioni adottate sotto la ratio della ricerca scientifica e con il principio fondante che è ricerca solo quello che è “nuovo e innovativo”. L’innovazione è dunque diventata il vessillo delle nuove strade intraprese nello studio dei materiali, delle tecnologie e dei sistemi costruttivi in architettura e viepiù nel restauro, dimenticando che la più grande innovazione proprio nel campo del restauro, e in particolare del restauro statico e del consolidamento strutturale, risiede invece nella comprensione dei rapporti materia/forma/struttura, con riferimento all’uso dei materiali naturali, e dei sistemi statici adottati dall’arte e dalla scienza del costruire in migliaia di anni di storia dell’architettura e della costruzione.
I sistemi di consolidamento tradizionali [Corradi & Brigandì, 1999; Corradi, 2000] che hanno visto, in epoche anteriori all’uso del calcestruzzo armato e delle strutture in acciaio, la realizzazione di intelligenti, duraturi e staticamente ammissibili sistemi di rinforzo strutturale, attraverso l’impiego di contrafforti e i maschi murari, archi di sostruzione, sotto-murazioni in conglomerato, concatenamenti e cerchiature in ferro dolce, con l’impiego di chiavi e bulzoni, e così via, non sono stati assimilati dalla cultura contemporanea in parte priva di un consapevole approccio al problema del consolidamento e della riabilitazione strutturale delle costruzioni in muratura [Corradi, 2008].

Restauro e sostenibilità

Il concetto di sostenibilità dell’intervento di restauro, ma in particolare di quello di consolidamento statico rimanda allora alla definizione di “sostenibile”. Cosa vuol dire sostenibile e cosa si intende per sostenibilità nel restauro? Queste domande evocano alcune considerazioni che reputiamo sia necessario introdurre.
La sostenibilità, in senso generale, dovrebbe essere la caratteristica principale di un intervento, che dovrebbe poter essere mantenuto con un medesimo livello prestazionale nel tempo, indefinitamente ovvero con un tempo di sostituzione negli anni abbastanza lungo. Il soddisfacimento di esigenze presenti, legate ad esempio alla sicurezza e all’utilizzo del bene, senza peraltro procedere con interventi che possano compromettere la possibilità delle future generazioni di intervenire con la loro modificazione, sostituzione e/o addirittura eliminazione, fa immaginare un insieme di interventi relativi ad un ambito circoscritto e bene caratterizzato. Tale insieme deve garantire una serie di requisiti che non devono e non possono alterare il bene stesso in maniera rilevante, ma soprattutto irreversibile, si pensi ad esempio alle cuciture armate con barre filettate o all’impiego di resine chimiche per la sigillatura di lesioni e fessure nelle murature. In questo senso la sostenibilità nel campo del restauro strutturale dovrebbe essere contemporaneamente un’idea progettuale alterabile, modificabile, reversibile, un modo di intervenire che non metta in condizione di non poter avere ripensamenti, ma altrimenti consenta ad altri di poter intervenire nel momento stesso che l’intervento progettato e realizzato, la tecnologia scelta e i materiali utilizzati siano reputati non più idonei a svolgere il compito per cui sono stati scelti e impiegati.
L’evoluzione tecnologica nel campo delle costruzioni e delle strutture, la ricerca di innovazione ad ogni costo, spesso incontrollata, la volontà di trasformazione senza analisi a priori degli effetti causati dall’uso di materiali e tecnologie non sufficientemente sperimentate, può delineare una perdita di controllo nel campo degli interventi di consolidamento strutturale. Si può, infatti, arrivare fino a un punto di non ritorno tale da avere una perdita di consapevolezza e riscontro dell’uso delle materie scelte e impiegate, dimostrando scarsa attenzione alla storia costruttiva e materiale della costruzione, con l’alta probabilità e il rischio di operare interventi di totale trasformazione, ad esempio, del cimento statico della struttura antica.
In questo senso l’intervento sostenibile deve garantire l’osservanza di almeno alcuni parametri di riferimento che si possono riassumere nei seguenti: 1) deve essere compatibile con quelli esistenti, 2) deve garantire una certa durata nel tempo, 3) deve essere modificabile e reversibile senza apportare danno alle strutture esistenti, 4) deve garantire la riciclabilità dei materiali usati con l’auspicio di una loro trasformazione e di un loro reimpiego. Generare, mantenere, riutilizzare sono le parole della sostenibilità in Architettura e nel Restauro, nel rispetto del monumento, della fabbrica, del costruito storico, massimizzando la qualità dell’intervento con il minimo impegno di risorse intese come consumo di materie prime ed energia, ossia utilizzare materie che devono appartenere il più possibile al mondo naturale, non derivato da eccessive trasformazione industriali. Nelle costruzioni antiche in muratura, ad esempio, l’uso di malte di calce, laterizi anche di reimpiego, pietra, legno (anche di recupero da demolizioni e smontaggi), re-utilizzo di grappe e catene in ferro dolce, (oggi sempre più spesso sostituite da barre in acciaio ad aderenza migliorata), dunque l’utilizzo di materie prime naturali con il minimo investimento energetico deve necessariamente fare parte del bagaglio culturale e scientifico del restauratore.
Il concetto di “sostenibilità” applicato all’Architettura e al Restauro, e nel caso particolare di questa nota al restauro strutturale, si deve riferire a maggior ragione alla ricerca di soluzioni costruttive che massimizza il risultato per gli utilizzatori attuali e al contempo garantisce alle generazioni future la possibilità di conseguire lo stesso risultato con interventi dello stesso tipo che possono essere integrazioni, modificazioni, sostituzioni; tutto questo con la consapevolezza che ogni intervento che si realizza non deve essere ultimativo e definitivo ma altrimenti possibile di ripensamento e rifacimento.

Materiali per il consolidamento strutturale “sostenibile”

La sostenibilità in architettura, nelle costruzioni e nel restauro sta proprio nella conoscenza e nella capacità di impiegare i materiali naturali, e comunque quelli per secoli utilizzati dai maestri costruttori e che sono, rispetto alle nuove istanze portate avanti dall’industria e dalla ricerca scientifica piegata ai desiderata dell’industria e dell’economia, del tutto compatibili e sostenibili con il contesto storico, geografico e ambientale della costruzione stessa.
I materiali “sostenibili” che dovrebbero essere utilizzati negli interventi di consolidamento statico dovrebbero appartenere, ad esempio, a queste famiglie: malte di calce, malte di calci idrauliche naturali [Pecchioni et alii, 2008] invece delle malte cementizie e anche di quelle bastarde; materiali lapidei e laterizi, o ceramici a pasta porosa, di re-impiego o altrimenti, materiali della stessa natura e con caratteristiche meccaniche similari, ma di produzione possibilmente locale e comunque compatibili con quelli esistenti (mattoni pieni, invece di semipieni o forati); ferro dolce (acciai a bassissimo tenore di carbonio, compreso tra lo 0,05% e lo 0,25%) molto malleabile che bene si adatta alle deformazioni cui possono essere soggette le strutture murarie, legno naturale e non legno lamellare o comunque alterato nella sua conformazione da agenti chimici o protesi meccaniche, comunque realizzate come ad esempio avviene con l’uso di materiali fibro-rinforzati, FRP.
Le tecniche e le tecnologie impiegate per gli interventi di consolidamento statico devono inoltre essere coerenti con le strutture della fabbrica e rispettose del cimento statico delle strutture esistenti. In questo senso lo studio delle tecniche costruttive, delle tecnologie storiche, del comportamento meccanico dei materiali utilizzati diventa strumento essenziale per la comprensione della statica della costruzione e del suo comportamento strutturale [Corradi, 1999a; 1999b].
Nondimeno, nella pubblicistica corrente - si veda una tantum il “Manuale per il recupero dei centri storici” redatto per conto della Regione Abruzzo nel 2001 -, si assiste alla promozione di tecniche di consolidamento statico invasive, non reversibili, non compatibili, di dubbia efficacia, figlie di una cultura “ingegneristica” auto-referenziata, dotata di una fiducia eccessiva nell’ingegneria e nelle tecniche moderne, e poco consapevole del complesso sistema di tecniche e regole dell’arte che ha dato luogo alla costruzione delle fabbriche antiche. Si osserva così alla riproposizione di tecniche di consolidamento obsolete e riprese da una manualistica “distruttivista” degli anni ‘80-’90 del secolo scorso. Al capitolo sul “ripristino delle condizioni statiche” si assiste così alla ri-proposizione di protocolli di intervento già in letteratura, ‘inqualificabili’ come ad esempio la reintegrazione delle murature con fogli di polietilene sostenuti da rete metallica elettrosaldata su fondo di resine sintetiche iniettate nelle commessure della muratura stessa [Caleca, De Vecchi 1983], cuciture armate con barre in acciaio filettate e iniezioni di resine per rinforzo di colonne lapidee e archi murari [Giovannetti, 1992; 1997; 2000], cordoli in cemento armato, con chiodature in acciaio per il collegamento con la muratura perimetrale, per il rinforzo di solai in legno [Rocchi, Piccirilli 1991], coacervi di micropali e cuciture armate per il sostegno delle fondazioni [Rocchi, Piccirilli 1991], fibro-rinforzati per il placcaggio e la cerchiatura di pilastri e colonne [Avramidou, 2000], rinforzo (sic!) di solai in legno con soletta in calcestruzzo armato [Giovannetti, 1992; 1997; 2000], cappe in cemento armato con connettori in acciaio di legamento per il consolidamento di volte in muratura [Rocchi, Piccirilli 1991; Giovannetti, 1992; 1997; 2000], incollaggi di fibre di vetro con barre filettate in acciaio di ancoraggio alle murature perimetrali per il consolidamento di volte [Recupero & Conservazione, 1999], sospensione di volte murarie tramite tiranti in acciaio a nuovi solai in acciaio incastrati sulle murature per mezzo di massicci cordoli in cemento armato [Caleca, De Vecchi 1983], ma l’elenco potrebbe essere lunghissimo e comunque la manualistica corrente ne mantiene traccia.
Tutto ciò nonostante studi e ricerche abbiano portato alla redazione di una Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 9 febbraio 2011 sul tema “Valutazione e riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale con riferimento alle Norme tecniche per le costruzioni” [D.P.C.M. 9 febbraio 2011], di tutt’altro tenore e avviso. Questo avviene perché esiste un substrato di operatori del restauro statico troppo ciechi e ‘ignoranti’ dell’arte e della scienza del costruire, perché «sembra a molti che per consolidare basti essere buoni ingegneri, trattandosi infine di soli problemi tecnici», dimentichi del fatto che «arte e tecnica negli edifici antichi sono una cosa sola» [Forlati, 1938].
Si evidenzia così come i manuali per il consolidamento sono spesso un repertorio di soluzioni per i diversi elementi della fabbrica (archi e volte, solai lignei, murature, fondazioni, ecc.) che portano, in genere, all’esecuzione di interventi non giustificati, e spesso dannosi per la conservazione della fabbrica stessa.

Alcune considerazioni sui nuovi materiali FRP

Gli FRP a matrice polimerica, costituita da resine di tipo termoindurente, epossidiche e più raramente poliestere, ma anche da carbonio (CRFP), vetro (GFRP), aramide (AFRP) e i calcestruzzi rinforzati con FRP sono sempre più presenti nei cantieri di restauro (Fig. 1), soprattutto dove si deve intervenire per aumentare le capacità di resistenza delle murature e per ripristinare la durabilità e la capacità portante di strutture ammalorate, associate all’uso di resine epossidiche per l’adesione alle strutture esistenti. Nel campo del restauro statico la fibra più utilizzata è quella di carbonio (poliacrilonitrile).
Questo sistema molto diffuso nel campo della progettazione strutturale, spinto dalle società produttrici di questi materiali, nega completamente il concetto di sostenibilità dell’intervento di consolidamento, recupero e riabilitazione strutturale. Questi materiali, peraltro soggetti a frequenti fenomeni di rottura per de-laminazione, a seguito della perdita di aderenza fra il materiale composito e la superficie di adesione, fenomeni che peraltro si manifestano in maniera improvvisa e dunque con un alto livello di rischio e pericolosità, rappresentano un problema di natura teoretica nel campo del restauro perché sono pericolosi (rottura fragile improvvisa), non reversibili (soprattutto se associati a sistemi che prevedono l’uso di barre in acciaio), invasivi (basta vedere i sistemi di cerchiatura di colonne lapidee), non riciclabili e soggetti a procedure di smaltimento complesse e costose, oltre che dannosi perché mutano il cimento statico delle strutture esistenti. Questi sono non di meno invasivi, quando sono associati, ad esempio, a intonaci armati (con armatura in acciaio e calcestruzzo) usati per ‘placcare’ le murature (Fig. 2).
Le N.T.C. 2008 e la Direttiva P.C.M. del 9 febbraio 2011, che riprende le Linee Guida per l’applicazione della normativa sismica ai Beni Culturali emanate il 12 ottobre 2007 come “Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri per la valutazione e riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale”, hanno peraltro ribadito che l’intervento di consolidamento murario con intonaco armato, e in questo caso rientra anche l’uso dei FRP, è giustamente definito “invasivo e non coerente con i principi della conservazione”.

Il percorso della conoscenza

Nel campo della sostenibilità degli interventi di restauro e consolidamento statico del costruito storico è dunque necessario stabilire una serie di criteri di intervento come peraltro previsto nel D.P.C.M. 9 febbraio 2011 (Cap. 4), ciò deve garantire lo svolgimento di una serie di attività preliminari al progetto e alla realizzazione dell’intervento che possono essere riassunte in quello che le norme stabiliscono come il “percorso della conoscenza”.
La complessità della fabbrica muraria, le tipologie e le singolarità costruttive, le trasformazioni nel tempo, lo stato d’uso, lo stato di conservazione, e la difficoltà di applicare modelli di calcolo univoci e di carattere generale, propri della scienza delle costruzioni, e la necessità di procedere all’analisi strutturale attraverso modelli ritenuti affidabili, richiede un approfondito percorso di conoscenza del fabbricato che non deve esimersi dallo svolgere una serie di attività di carattere generale e puntuale. Tali attività prevedono lo svolgimento di indagini storiche (conoscenza storica architettonica, costruttiva, tecnologica e materica), rilievi sulle geometrie e sullo stato di conservazione degli elementi strutturali, indagini sui materiali, sul comportamento strutturale a livello globale e locale, per conseguire un’adeguata conoscenza delle strutture della fabbrica, al fine di evitare opere superflue e non necessarie. In questo senso, anche le Norme tecniche stabiliscono che, in particolar modo per le opere soggette a rischio sismico, «è opportuno accettare consapevolmente un livello di rischio sismico più elevato rispetto a quello delle strutture ordinarie, piuttosto che intervenire in modo contrario ai criteri di conservazione del patrimonio culturale» [D.P.C.M. 9 febbraio 2011: § 2.2].
Come prescrivono le norme, il percorso della conoscenza deve prevedere 1) l’identificazione della costruzione e la sua localizzazione in relazione a particolari aree a rischio, 2) il rapporto della stessa con il contesto urbano circostante, 3) il rilievo geometrico della costruzione nello stato attuale, comprensivo dell’analisi dei quadri fessurativi e deformativi, 4) la storia delle trasformazioni edilizie della fabbrica, 5) l’individuazione degli elementi (geometrie e tecniche costruttive) che costituiscono l’organismo strutturale nei suoi componenti materiali (anche dal punto di vista dello stato di degrado e delle caratteristiche meccaniche), tecnologici e costruttivi, 6) la conoscenza del sottosuolo e delle strutture di fondazione, e i cambiamenti di dissesto anche per conseguenza di fenomeni naturali e antropici; 7) monitoraggio delle strutture con un controllo periodico della costruzione per una conservazione consapevole.

Considerazioni finali di carattere etico e di metodo

Il problema del consolidamento statico e, quindi, quello dell’uso di materiali innovativi che, in genere, non sono sostenibili ed eco-compatibili, nel significato che abbiamo descritto in precedenza, diventa allora un problema etico e di metodo.
In questo senso, per definire un intervento di restauro e consolidamento statico del costruito storico di tipo sostenibile è necessario stabilire una serie di criteri che sulla falsariga di quanto già evidenziato nelle Norme tecniche citate debba garantire l’osservanza di alcuni principi etici e di metodo.
In primis è necessario individuare il modello di analisi strutturale più idoneo tenendo conto che le costruzioni antiche sono state realizzate utilizzando principi differenti da quelli attuali spesso basati sul concetto di similitudine comportamentale, spesso fondati sull’empiria e sull’esperienza e l’intuizione personale del progettista/costruttore, in genere basata sul concetto di equilibrio di corpo rigido e non di comportamento elastico; criteri esecutivi e di dimensionamento geometrico, definiti anche come regole dell’arte del tutto funzionali all’opera stessa e in grado in moltissimi casi di superare due aspetti sostanziali della vita della fabbrica: 1) la prova del tempo, 2) la capacità di adattarsi a differenti usi della fabbrica per modificazioni tipologico-funzionali operate dall’uomo. Per valutare la sicurezza di una costruzione esistente, è pertanto necessaria un’adeguata conoscenza del manufatto, che non può prescindere dall’analisi del suo comportamento strutturale.
In secundis è necessario attenersi all’esecuzione di interventi sulle strutture, necessari per ridurre la vulnerabilità sismica della fabbrica e per garantire la conservazione della costruzione, di miglioramento, di riparazione o interventi locali che non alterino o modifichino il comportamento globale e locale del manufatto e delle strutture, ossia adottare regole per la realizzazione degli interventi che assicurino la compatibilità dei nuovi elementi con quelli originari e la durabilità dei materiali.
«Il progetto degli interventi dovrà [pertanto] garantire la conservazione dell’architettura in tutte le sue declinazioni» [D.P.C.M. 9 febbraio 2011 Cap. 6]. L’obiettivo è la conservazione della materia, del funzionamento strutturale e dell’uso della fabbrica limitando gli interventi, anche riguardo all’esecuzione delle opere impiantistiche, evitando tutte quelle opere di demolizione-sostituzione e di demolizione-ricostruzione, invasive e non reversibili, ma operando invece con interventi che si integrino con la struttura esistente, rispettosi dei requisiti di sicurezza e durabilità, senza trasformazioni radicali.
I concetti chiave si compendiano dunque in: non invasività, compatibilità, reversibilità, coerenza materiale e comportamentale, soprattutto dal punto di vista della meccanica dei materiali, durabilità e integrità architettonica. Tutto questo si riassume, a mio avviso, nella sola istanza ammissibile per un manufatto storico che è quella di utilizzare, per il suo recupero e la sua conservazione, materiali della stessa tipologia e specie di quelli utilizzati nella fabbrica antica, attraverso uno studio sistematico del loro comportamento meccanico, delle tecniche usate per la loro messa in opera, delle tecnologie proprie per la loro produzione in contrapposizione all’impiego di materiali ‘figli’ dell’innovazione tecnologica e che non rispettano i criteri di cui sopra abbiamo fatto cenno, anche perché non hanno sufficienti verifiche di durata nel tempo non solo per se stessi, ma in relazione al rapporto che essi stabiliscono intrinsecamente con le strutture antiche.
Gli interventi dovranno, pertanto, rispettare la concezione e le tecniche costruttive originarie della struttura utilizzate in origine e nel tempo anche attraverso le trasformazioni della fabbrica. In questo senso i materiali tradizionali - lapidei, laterizi, malte di calce e pozzolanica, ferro dolce, legno, ecc. - meglio si prestano agli interventi di rinforzo e consolidamento strutturale, poiché certamente coerenti e compatibili con quelli esistenti. E per questi motivi, per una corretta valutazione del loro impiego, la storia del manufatto diventa il punto di partenza di ogni progetto.
La storia della costruzione e la scienza del costruire [Corradi, 2010], discipline peraltro assente negli ordinamenti didattici dei corsi di laurea in Architettura a livello italiano, ma diffusa e insegnata oramai in tutto il mondo, se affrontata ‘a tutto tondo’ rappresenta allora lo strumento per una corretta valutazione delle tecniche, delle tecnologie e dei materiali da impiegarsi nell’intervento di restauro e consolidamento statico al fine di una sua integrità architettonica e strutturale, materica e comportamentale.


La storia non è solo la scienza degli uomini, ma è la “scienza degli uomini nel tempo
[Marc Bloch, 1949].


Riferimenti bibliografici


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D.P.C.M. 9 febbraio 2011 - Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 9 febbraio 2011: “Valutazione e riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale con riferimento alle Norme tecniche per le costruzioni”. Decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 14 gennaio 2008, pubblicato sul Supplemento ordinario n. 54 della Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana il 26-2-2011.
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